29/12/20

Robert Kennedy e il suo discorso sul Pil- Video

 



Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.

Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL).

Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.

Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.

Robert Kennedy – Università del Kansas – 1968

Robert Kennedy venne ucciso tre mesi dopo questo discorso, e prima di essere eletto Presidente degli Stati Uniti.

14/12/20

L’Onu ha riconosciuto le proprietà terapeutiche della cannabis. Cosa accade ora?

 


Dopo 60 anni la cannabis esce dalla tabella Onu degli stupefacenti.

Va in fumo l’ultimo pregiudizio sulla sostanza più discussa di sempre. Sono state riconosciute le proprietà mediche della cannabis che ora non fa più parte delle sostanze ritenute pericolose. La Commissione delle Nazioni Unite sugli Stupefacenti si è riunita per votare una serie di misure proposte dall'Organizzazione mondiale della sanità sulla riforma internazionale della cannabis. In particolare è stata decisa la declassificazione della sostanza dalla tabella nella quale si trovano sostanze come eroina e cocaina riconoscendone il valore terapeutico. L'Unione europea ha votato compatta.

Cosa è accaduto.

Era da 59 anni che non venivano prese decisioni di questa portata sulla tossicità delle sostanze. Sono state cambiate le quattro tabelle che dal 1961 classificano piante e derivati psicoattivi a seconda della loro pericolosità. Secondo gran parte della comunità scientifica la cannabis a scopo terapeutico ha molteplici benefici sul sistema nervoso e viene oggi usata per il trattamento di diverse malattie, come il Parkinson, la sclerosi, l'epilessia, il dolore cronico e i tumori. Ricordiamo che da una decina di anni nel nostro Paese è consentito il ricorso alla cannabis terapeutica se in possesso di regolare prescrizione medica. La decisione sicuramente spingerà .Secondo il report Estimated World Requirements of Narcotic Drugs 2020 dell'International Narcotics Control Board, l'Italia avrrebbe un fabbisogno di 1.950 kg all'anno di cannabis medica. Solo una piccola parte di questo fabbisogno è soddisfatto da produzione nazionale, il resto viene importato principalmente dall’Olanda.

Cosa accadrà.

La notizia era nell’aria. Già ieri il Marijuana Index, l’indice che raccoglie le società Usa attive in questo business era in deciso rialzo. Tuttavia, ad oggi, nella maggior parte del mondo, possedere e consumare marijuana è illegale. Le legislazioni, però, sono diverse da Paese a Paese. In generale, i Paesi asiatici e quelli europei sono i meno tolleranti. Il primo Paese al mondo ad aver legalizzato la cannabis è stato l'Uruguay dal dicembre del 2013. Negli Stati Uniti, invece, Colorado e California hanno scelto con modalità diverse la strada della legalizzazione. In Europa la marijuana è illegale (con depenalizzazioni variabili sul possesso) in Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Irlanda, Grecia e Finlandia. La pena su possesso, vendita, trasporto e coltivazione è stata revocata solo in Olanda. In Spagna, invece, è possibile coltivare o consumare cannabis, ma solo nelle mura domestiche. Insomma, difficilmente il voto all’Onu non avrà un impatto immediato. I Governi possono decidere come classificare la cannabis e quindi nel breve al massimo assisteremo alla ripresa di un dibattito che dura da decenni. La decisione tuttavia è positiva perché riconosce finalmente gli effetti positivi della sostanza sui pazienti e a incentivare la ricerca medica.

3 dicembre 2020

di L.Tre.

fonte: ilsole24ore

01/09/20

Il potere nella storia, Vittorio Zanini

 

La storia è un continuo susseguirsi di uomini di potere ignoranti e inadeguati, accompagnati con donne stupide e superficiali. Non si può essere ottimisti per il futuro.

Vittorio Zanini

11/08/20

Quante cose di cui non ho bisogno! Vittorio Zanini

 



Ogni volta che riesco ad eliminare qualcosa che ritenevo indispensabile, poi mi rendo conto che posso fare a meno di tanto altro. Più mi libero di cose che possiedo, abitudini e dipendenze e più mi sento bene, leggero, libero. Il mio obiettivo non è quello di non desiderare più niente ma di desiderare sempre meno; scremare tutto il superfluo e conservare solo l'essenziale. Sono felice per quello che ho, non desidero niente che non possiedo e non vorrei essere in nessun altro posto che in quello in cui mi trovo in questo momento.

Vittorio Zanini

Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra

 


Con la sua pretesa scientificità, l'economia si sta mangiando la nostra civiltà creando attorno a noi un deserto dal quale nessuno sa come uscire. Meno di tutti gli economisti.
Ma il modo c'è, dico io. E, tanto per restare nel tema di questi giorni, ripropongo la mia vecchia idea: essendo fallite tutte le rivoluzioni, l'unico modo per non farsi consumare dal consumismo è quello di digiunare, digiunare da qualsiasi cosa che non sia assolutamente indispensabile, digiunare dal comprare il superfluo. Se venissi ascoltato sarebbe la fine dell'economia. Ma se l'economia continua a imperversare come fa, sarà la fine del mondo. Basta guardare questa piccola isola dove nel giro di pochi anni le foreste sono state tagliate e le spiagge cementificate in nome del progresso e dello sviluppo economico!
Per l'economia è una «buona notizia» che la gente compri di più, costruisca di più, consumi di più. Ma l'idea degli economisti che solo consumando si progredisce è pura follia. E’ così che si distrugge il mondo, perché alla fine dei conti consumare vuol dire consumare le risorse della Terra. Già oggi usiamo il 120 per cento di quel che il globo produce. Ci stiamo mangiando il capitale. Che cosa resterà ai nostri nipoti?
Gandhi nel suo mondo semplice, ma preciso e morale, lo aveva capito quando diceva: «La Terra ha abbastanza per il bisogno di tutti, ma non per l'ingordigia di tutti».
Grande sarebbe oggi l'economista che ripensasse l'intero sistema tenendo presente ciò di cui l'umanità ha davvero bisogno. E non solo dal punto di vista materiale.
Siccome il sistema non cambierà da sé, ognuno può contribuire a cambiarlo... digiunando. Basta rinunciare a una cosa oggi, a un'altra domani. Basta ridurre i cosiddetti bisogni di cui presto ci si accorge di non aver affatto bisogno. Questo sarebbe il modo di salvarsi. Questa è la vera libertà: non la libertà di scegliere, ma la libertà di essere. La libertà che conosceva bene Diogene che andava a giro per il mercato di Atene borbottando fra sé e sé: «Guarda, guarda, quante cose di cui non ho bisogno!»
Quello di cui oggi abbiamo tutti bisogno è la fantasia per ripensare la nostra vita, per uscire dagli schemi, per non ripetere ciò che sappiamo essere sbagliato.

Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra, p. 245-246

05/07/20

Happy Guru Purnima


Guru Purnima (Poornima) è una tradizione spiriturale dedicata agli insegnanti spirituali che hanno compiuto un percorso di evoluzione o possono essere considerati uomini illuminati, pronti a condividere la loro saggezza con poco o quasi nessun ritorno economico, basandosi sul Karma Yoga. Viene celebrato come una festa in Nepal, ma anche da coloro che sono di religione induista, buddista e giainista per reverire i loro insegnanti e/o capi spirituali ed esprimere loro gratitudine. La festa si celebra nel giorno di luna piena del mese induista di Ashadha (Giugno-Luglio) del calendario induista indiano e nepalese.

Wikipedia

Portami dall'oscurità alla Luce.
~
È questo quello che fa un Guru. È la persona in grado di dissipare il buio dell'ignoranza per portarci verso la luce della conoscenza e della consapevolezza.
~
La prima luna piena di Luglio è il momento in cui si onora il Guru, Guru Purnima.
~
Il Guru non per forza è una persona che di mestiere insegna. Un guru è una persona che ci apre gli occhi, che fa vedere al di là dell'oscurità.
~
Oggi è il giorno per dire grazie a queste persone.

La Scimmia Yoga

04/07/20

Humberto Ak’abal, Farfalla

Gialla
con macchioline nere.
Sembrava pensierosa
sul palmo della mia mano,
le ho parlato
e la sua risposta è stata
più grande del silenzio.
I miei occhi distillavano
amore selvaggio.
Il vento la strappò
dalla mia mano.
Vola, vola, vola:
le gridavo.
E la farfalla andò cadendo
a poco a poco
fino a baciare la terra.

Humberto Ak’abal, Farfalla

29/06/20

Max Stirner, Il falso principio della nostra educazione


Se si sveglia nell’uomo l’idea di libertà, gli uomini liberi andranno incessantemente di nuovo liberando se stessi; se invece si formano soltanto degli uomini colti, costoro si adatteranno sempre alle circostanze nel modo più educato ed elegante e si forgeranno in sottomesse anime di servi. Che cosa sono per la maggior parte i nostri intellettuali e colti sudditi? Sogghignanti padroni di schiavi, e schiavi essi stessi.

Max Stirner, Il falso principio della nostra educazione

Erich Fromm, Fuga dalla libertà


Come la pubblicità con il cliente, così i metodi della propaganda politica tendono ad accrescere il sentimento di insignificanza del singolo elettore. La ripetizione di slogan, e l'insistenza su fattori che non hanno nulla a che vedere con il problema in discussione, ottundono le sue capacità critiche.

Erich Fromm, Fuga dalla libertà

22/06/20

Giuseppe Bucalo l’antipsichiatra


Si dice "randagio" di animale, che vaga senza padrone o fuori da un branco; di persona, che va errando per il mondo senza meta e senza dimora.
I randagi (umani o animali che siano) sembrano avere come unica possibilità di vita la negazione violenta del loro essere attraverso la reclusione o l'addomesticamento.
Nel vagabondare senza padrone e fuori dal branco, non si vede normalmente un'espressione di libertà, ma il sintomo di un disagio o di un disordine. Per questo accalappiare e rinchiudere in canili i randagi o prelevare e internare in reparti psichiatrici i matti, non viene vissuto come una violenza e come una limitazione di libertà, ma semmai come una liberazione dal disagio.
E certamente togliere di mezzo i randagi umani e animali dalle strade, dalle famiglie e alla vista sociale, risponde ad un disagio. Non il loro, anche se è in loro nome che viene perpetrato ogni internamento, ma il nostro disagio che non ci permette di tollerarne e accettarne l'esistenza.

Giuseppe Bucalo l’antipsichiatra

19/06/20

Ricchezza o felicità? Vittorio Zanini


A che cosa mi servono tanti soldi se poi tutte le cose belle mi succedono solo quando non ne ho?!

Vittorio Zanini

05/06/20

Tiziano Terzani: Un indovino mi disse


Un anno senza prendere l'aereo, un viaggio avventuroso per l'Asia, dal mondo occulto degli indovini, al suicidio di un continente ammaliato da un modello altrui, ossessionato dallo sviluppo.

Mancavano pochi giorni alla fine del 1992, la guerra fredda era finita bene, il Pil mondiale cresceva, la scienza svelava, la tecnica applicava per l’industria, l’Occidente si specchiava con ottimismo. Intanto, Tiziano Terzani, corrispondente di guerra, giornalista internazionale serio ed affermato, navigava sul Mekong. Con tranquillità imperturbabile il serpente fangoso stendeva le sue spire tra il Laos e la Thailandia. Silenzio, calma e lumini ad olio, sospesi sulla riva laotiana, innanzi al futuro tailandese con l’elettricità, i motori e la musica altra; “su quale sponda la felicità?“, si domandava Tiziano Terzani. Una domanda sciocca nel 1992.

Tuttavia il giornalista serio non avrebbe sofferto la noia di un cenone in ambasciata, né al club dei corrispondenti. Meglio una frittata di uova di formiche rosse e lo scroscio di una cascata nel verde, sull’altopiano di Bolovens; in mezzo ad una natura strana, macchia più che foresta, dalla quale perfino gli uccelli erano fuggiti, come si era disciolta qualunque memoria umana più antica della Guerra del Vietnam (1955-1975). Non una capanna di contadini, non una pagoda del Buddha era scampata al conflitto. Nessun luogo della Terra era stato bombardato di più.

Fu allora, in uno scenario surreale, che il primo gennaio 1993, l’impresa poetica della quale fantasticava Terzani ebbe inizio. Per un anno, il corrispondente dall’Asia non avrebbe volato;

dopo una vita sensata, all’insegna della ragione, mi permettevo ora una decisione fondata sulla più irrazionale delle considerazioni e mi imponevo così un limite senza senso.

L’occasione di perdere l’aereo Terzani l’aveva incontrata ad Hong Kong nel 1976, quando un’amica cinese, appassionata giocatrice d’azzardo, era riuscita a trascinarlo dal suo indovino di fiducia. La donna contava di scoprire quali sarebbero stati i suoi giorni fortunati – per giocarseli nei casinò di Macao – in un anonimo e fatiscente palazzone, cui il caldo asfissiante vietava di chiudere le porte. Difendevano gli appartamenti, soltanto lucchetti ed inferriate. Traspiravano l’aria, i profumi dell’incenso, il lume rossastro di un altare degli antenati.

L’indovino cinese si adoperò per quella che avrebbe dovuto essere l’unica cliente, poi notò l’accompagnatore: «è lui che mi interessa». Terzani si lasciò guardare, misurare l’avambraccio, toccare la fronte, dichiarò la propria data di nascita:

Circa un anno fa tu stavi per morire di morte violenta e ti salvasti sorridendo […] Attento! Nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell’anno non volare. Non volare mai.

Molti indovini tentano di avvalorare le previsioni, mirando anzi tutto al passato. Descrivere in maniera plausibile situazioni generiche, il sesso o il numero dei figli senza conoscerli, non costituisce una casualità eccessivamente improbabile, specialmente quando la fantasia del cliente credulone si scatena per rimediare agli errori. Più difficile indovinare, tirando a caso, come in Cambogia, esattamente un anno prima, Terzani si fosse trovato in pericolo, tra le urla dei guerriglieri Khmer Rossi – Cia… Cia… American, American ! – ed innanzi ai loro mitra spianati; col sorriso li aveva persuasi ad attendere l’arrivo di un capo prima di sparare. Nessuno conosceva l’accaduto. Mesi di incubi avevano forse lasciato un segno segreto che soltanto l’indovino poteva scorgere?

Dopo molti anni, lo scampato pericolo si trasformò nell’occasione per rispettare un limite di quota insensato, al quale fu divertente aggiungere il divieto di pernottare negli hotel del turismo di massa ed il proposito di consultare un indovino in ogni luogo visitato; abbracciando forte l’ultima splendida Asia, anch’essa in marcia, se pur nella direzione opposta, alla via sulla quale Terzani si era incamminato, oltre le delusioni moderne del comunismo cinese e del capitalismo in Giappone. Un indovino mi disse (1995) è così la storia leggera di un anno in viaggio, di un fiorentino diffidente ma senza pregiudizi, tra talismani magici, antiche dottrine, indovini; attraverso i paesaggi di un’Asia che per inseguire la modernità occidentale, perdeva sé stessa.

Festeggiato Capodanno, il viaggio di ritorno, dal Laos alla mitica Turtle House di Bangkok, corse in automobile. Dopo decenni in cui, secondo gli antichi colonizzatori francesi, i laotiani avevano indugiato ad ascoltare il riso che cresceva, già piantato dagli operosi vietnamiti, anche il Laos si era arreso allo sviluppo. Rifiutato per anni, da ultimo il governo australiano aveva potuto costruire il bel ponte sul Mekong. Follemente i lao, per vivere a modo loro, avevano rifiutato di lasciarsi attraversare dai dollari, dall’autostrada Pechino-Singapore, dai turisti e dalle merci del porto di Bangkok; retrogradi si ostinavano ancora a chiamare il bel ponte: «ponte dell’Aids». La vecchia capitale Luang Prabang, sarebbe stata circondata dall’autostrada e schiusa da un nuovo grande aeroporto. La civiltà del denaro e dei consumi sarebbe atterrata anche nell’unico paese in cui, perfino i dirigenti comunisti raccomandavano di tener fede alle promesse, votate allo spirito del fiume.

Il Laos, da uno stato d’animo, come una bionda hippie aveva sussurrato a Terzani nel 1972, si sarebbe trasformato in un parco giochi come tanti;

Che brutta invenzione il turismo! Una delle industrie più mefitiche ! Ha ridotto il mondo a un enorme giardino di infanzia, a una Disneyland senza confini. Presto anche nella vecchia e remota capitale reale del Laos sbarcheranno migliaia di questi nuovi invasori, soldati dell’impero dei consumi, e con le loro macchine fotografiche, le loro implacabili videocamere, gratteranno via quell’ultima naturale magia che lì è ancora dovunque.

A Bangkok non c’erano più le tradizionali case palafitte di legno, né si navigava sul capillare sistema di canali, ormai interrati ed origine dello stagno chiuso, nel quale, innanzi ad una delle ultime case vecchie, si era rifugiata l’enorme tartaruga carnivora che aveva ispirato il nome di Turtle House, come Terzani e la moglie Angela avevano ribattezzato la più bella delle loro residenze asiatiche.

La Thailandia aveva appresto bene la lezione, ospitava basi militari americane, non era mai stata comunista, era aperta al turismo, gioiva della sua rigogliosa crescita economica. Bangkok era anzi una città moderna, con i grattacieli, il fervore edilizio, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, un quinto della popolazione senza casa, un sessantesimo malato di Aids, una prostituta ogni trenta donne, continui incidenti stradali mortali, oltre 700 suicidi ogni mese. I pii, gli spiriti dei luoghi, erano infuriati.

Dalla città, con il miracolo economico, se ne era andato via il fascino ma erano rimasti gli indovini. Moltissimi thai portavano indosso tatuaggi fortunati o amuleti. Perfino il capo del governo Chatichai Choonhavan (1929-1998), schieratosi a fianco degli Stati Uniti in occasione della prima Guerra del Golfo (1990-1991), aveva ritenuto di tranquillizzare la popolazione, preoccupata per il terrorismo islamico, dichiarando alla stampa che non c’era pericolo, lo aveva scoperto il suo astrologo.

Fu la moglie dell’amico filosofo Sulak Sivaraksa, buddhista, mancato Nobel per la pace e spesso incarcerato, perché critico nei confronti di una classe dirigente colpevolmente dimentica della tradizione, a consigliare un bravo indovino.

Terzani ingaggiò una interprete che non lo conoscesse e la attese presso un albergo nel quale non alloggiava. Anche stavolta l’indovino era cinese, cieco, volle conoscere soltanto l’ora e la data di nascita. Le prime divinazioni riguardarono il passato di un uomo, generoso, dal carattere difficile e dalla mente irrequieta, un quadro che avrebbe potuto esser vero per chiunque; il cieco si arrischiò quindi a tratteggiare una salute precaria negli anni dell’infanzia (vero), trascorsi presso una famiglia che non sarebbe stata quella naturale (falso), un periodo difficoltoso tra 24 e 29 (vero), la laurea in ingegneria (falso). Terzani iniziò presto a distrarsi, l’indovino, forse percependo il calo di attenzione, passò alle cattive nuove. Con simili stelle non c’era da arricchirsi; una brutta notizia se il suo cliente fosse stato cinese. Mai ricco, eppure famoso; in quale modo? «Scrivendo!».

Presentimento talmente verosimile da suscitare la suggestione di avere comunicato mentalmente la risposta; esperienza per altro destinata a ripetersi anche presso altri indovini, apparentemente in grado di anticipare le domande, lasciarsi suggerire le risposte (nessuna lingua in comune), o descrivere le persone senza vederle: si alzò come dovesse toccarla e descrisse fisicamente Saskia come davvero l’avesse davanti, sempre che in qualche forma quell’indiana in trance non ce l’avesse avuta davvero. Intanto, affermò l’indovino cieco, il pericolo aereo era già stato corso e superato nel 1991. Il 1994 sarebbe stato propizio per l’impossibile trasferimento in un nuovo paese, stanti i contratti per Turtle House e con Der Spiegel. Desiderata, l’India aveva ancora molto da attendere.

Sempre a Bangkok, Terzani assistette all’incontro tra i vincitori del Premio Nobel per la Pace ed a seguito del noioso discorso del Dalai Lama, conobbe Gelon Karma Chang Choub, un tempo Stefano Brunori, giornalista fiorentino. Giunti in oriente nello stesso anno (1971), un collega era corso verso l’Asia moderna, il materialismo storico, la Guerra del Vietnam; l’altro aveva scoperto un’Asia antica, mistica e aveva lasciato la moglie per entrare in un monastero tibetano di Katmandu.

Ospite a Turtle House, Chang Choub raccontò del suono fastidioso dei corni, del duro digiuno dopo mezzo giorno, karma, reincarnazione, maestri reincarnati, di un attimo in chiarità, il satori, meta di una vita ma ancora tristemente lontano. Terzani fu contento dei momenti con Chang Choub, anche senza accettare le sue dottrine che avvolte sembravano folli, quanto la reincarnazione in esplosione demografica.

La mattina Chang Choub si metteva nella nostra salà, il piccolo padiglione di legno sullo stagno, raccolto, immobile, a occhi chiusi, a meditare. Da lontano lo osservavo, ma non riuscivo a togliermi di dosso quel senso di infelicità che, tutto sommato, la sua presenza mi trasmetteva. C’era, fra il colore della sua pelle e quello della sua tonaca, una profonda contraddizione.. [a Katmandu] Chang Choub potrebbe sentirsi terribilmente solo, solo come mai, alla fine di una vita di cui avrebbe da chiedersi, come forse già gli capita di fare, se non l’ha spesa perseguendo la meta di altri, dietro un’illusione che non era nemmeno la sua.

Per secoli, gli antenati dei due giornalisti si erano ritirati a La Verana, come san Francesco, o nel monastero di Camaldoli. Vie più consone? Si domandava Terzani.

Terzani lasciò Bangkok in treno, pur senza aerei avrebbe continuato a viaggiare in Asia e a scrivere per Der Spiegel. L’autorevole settimanale tedesco aveva accettato la stravaganza del suo corrispondente come fosse un’opportunità, anziché licenziarlo. E proprio il cammino terrestre permise di visitare Betong, poco prima della frontiera malese. La regione di confine era stata pericolosa spie, soldati, guerriglieri comunisti. Poi con la pace Betong si era riempita di bordelli per i turisti malesi. Guerriglieri arresi facevano da guida tra gli accampamenti abbandonati, prestando vecchie armi e cappelli con la stella rossa per le foto ricordo.

Terzani intendeva scrivere dei cinesi della diaspora, i ku li (forza amara) o coolie che avevano abbandonato un Celeste Impero, otto-novecentesco, fumoso d’oppio, colonizzato, confuciano; ove i ricchi mercanti erano considerati socialmente inferiori ai contadini. Lasciato l’Impero per il Nan Yang (mare del Sud), i coolie avevano sognato la prosperità materiale più che l’armonia di Confucio e trasformato una nera miseria nel primato economico in molti paesi del sud-est asiatico: se un pescatore indonesiano cattura molto pesce, poi può riposare per giorni, mentre un pescatore cinese torna immediatamente verso quel mare, fu spiegato a Terzani.

Alla fine dell’incontro con un coolie malese, professore di storia, Terzani domandò dove potesse trovare un indovino: «Indovini? Li odio». La madre del professore era stata una donna forte, devota alla famiglia, poi un indiano le aveva predetto la morte entro un anno; improvvisamente ella aveva iniziato a tradire il consorte, ad indebitarsi per il gioco, a mancare da casa. Conosciuta la ragione, il marito aveva perdonato ma scaduto l’anno, la donna non era riuscita a mutare condotta, rovinando l’infanzia del professore. Nel mondo degli indovini, ricorrevano anche simili storie.

In Malesia, prima di rassegnarsi alla fine dell’Impero Britannico, gli inglesi avevano disegnato le frontiere in modo che i cinesi, la cui madrepatria era diventata comunista, rimanessero una minoranza. Nella nuova nazione, l’aspirazione a forgiare un’identità comune era durata poco, cinesi i grattaceli, i supermercati, i tassisti; malesi i militari, i poliziotti, i politici. La divisione razziale era andata progressivamente rafforzandosi, ad arginare, secondo i malesi, riscopertisi bumiputra (figli del suolo) se pur secondi agli orang asli della giungla, il materialismo ed il potere economico cinese.

Nel 1981, Mahathir Mohamad era giunto al governo, deciso a dotare i malesi di un’identità forte ed al contempo a garantire loro uno schiacciante predominio demografico, era riuscito a ricondurre il tradizionale Islam malese alle forme di una interpretazione rigida, sconosciuta innanzi. Il velo mediorientale sostituì i tradizionali, sensuali sarong femminili, nonostante la calvizie e le malattie cutanee che esso favoriva con il caldo equatoriale.

Ai primi anni Novanta, il nuovo Islam si era sviluppato e radicalizzato anche troppo per i politici malesi che già temevano il fondamentalismo. Terzani visitò la comunità di Al Arqam, vicino Kuala Lumpur, lì i veli coprivano anche la faccia delle donne, mentre gli uomini raccontavano la vita del fondatore, Ashaari Mohammad (1937-2010), pronunciandone il nome con deferenza.

Dai venti ai quaranta anni, chi sceglieva Al Arqam, doveva vivere nella comunità; poi tornava a lavorare nel mondo, dividendo i guadagni con il gruppo.

Non siamo affatto contro ciò che è moderno.. Siamo solo contro la modernità di tipo occidentale che è esclusivamente materialistica e non spirituale. Siamo per uno sviluppo che non danneggi la natura e non sfrutti altri popoli,

raccontò un ideologo del gruppo. Inoltre Al Arqam aveva propri campi e proprie fabbriche, per dotarsi del necessario secondo un’economia ispirata ai principi dell’Islam, anziché a quelli del profitto.

Al momento dei saluti, questi calmi e sereni hippies totalitari, mussulmani anche oltre l’ora di preghiera, iniziarono a sembrare meno matti che all’arrivo. Al Arqam confermò a Terzani quanto già compreso attraverso l’Asia centrale nel 1991. L’Islam sostituiva il comunismo quale rivolta degli oppressi e si opponeva al materialismo dilagante, se pure agli occhi di un giornalista europeo poteva rimanere eccessivamente velato, antiquato e repressivo.

Al limite della Penisola Malese, l’odorosa Singapore tropicale del 1971 non esisteva più. La prima casa asiatica di Terzani era scomparsa. Nella capitale dei coolie si era passati dai pantaloni di seta ai tailleur, dalla gentilezza indiana ai tic giapponesi, dal caldo all’aria condizionata e agli alberi finti. Gli oppositori non venivano più imprigionati ma «rotti», in una prigione sotterranea, progettata con la consulenza israeliana, e quindi liberati con un nuovo lavoro, sempre per il governo.

Salpare da Singapore non fu rinfrescane, la nave per l’isola di Tanjung Pinang, in Indonesia, era un’astronave, non permetteva di uscire sul ponte, costringendo i viaggiatori a sopportare la solita aria condizionata. I cinesi d’Indonesia o singaporini tuttavia stavano bene in coperta, con lo sguardo immerso dentro qualche schermo; “ognuno aveva un suo «progetto» di sviluppare, di costruire, di cementificare qualcosa“. In Indonesia, i cinesi costituivano un discriminato 2% della popolazione e nonostante i pogrom del passato, controllavano il 70% del commercio, le maggiori industrie e le maggiori banche.

Alcuni indonesiani parevano non preoccuparsene. L’interprete Norodin, orgoglioso della propria stirpe Batak (tribu Karò), raccontò di come secondo le sue tradizioni, l’umanità ebbe origine dalle scimmie che diventate troppe per stare tra i rami, decisero di mandare a terra metà della popolazione. L’autista era fuggito da un villaggio della parte occidentale di Sumatra, lì il regime era matriarcale; una delle ragazze più brutte si era accordata con sua madre per sposarlo. A Sumatra non vi sarebbe stato uno dei felici matrimoni combinati, scoperti da Terzani in Asia, come la promessa tra Michael e Nancy, devoti cattolici del vecchio quartiere portoghese di Malacca, depositari di una saggezza dimenticata ad occidente in nome del culto della libera scelta: ama chi sposi e non sposare chi ami.

Oltre lo Stretto di Malacca invece, l’autista e l’interprete di Terzani erano fedeli islamici ma non avevano studiato all’estero, magari in Arabia Saudita come i malesi. In Indonesia c’era ancora “un mondo fatto di gente varia, non omogeneizzata, di gente che viveva ancora a modo suo, con aspirazioni e preoccupazioni diverse da quella di diventare ricchi“. Naturalmente tali collaboratori conoscevano un bravo dunkun, o bomoh su altre isole. La magia, con una concezione animista dell’Universo, era rimasta spesso una sorta di religione profonda dell’arcipelago.

Il dukun indonesiano di Terzani condusse l’ospite in una stanza completamente buia, lo fece sedere su di una stuoia, attorno alla quale, quando ebbe acceso tre candele, si delinearono cinque specchi rotondi e delle uova. Conclusa una lunga recitazione, della quale Terzani comprese soltanto il proprio nome e quello di Allah, il dukun estrasse una lente di ingrandimento ed esaminò accuratamente gli specchi; quindi certificò che Terzani non aveva il malocchio. Fu il primo indovino a non predire le fortune economiche del suo cliente. La Cina era non era vicina.

A Tanjung Pinang sorgeva anche una missione cattolica. Anni di giornalismo in Asia avevano insegnato a Terzani, come il modo migliore per conoscere una nuova realtà locale, fosse spesso quello rivolgersi ai gesuiti, o in assenza di questi ad un missionario cattolico. Padre Willem era esperto di dukun.

Eppure, appena giunto in Indonesia, la prima reazione del giovane sacerdote era stata quella di irridere la superstizione insulare; scherzosamente aveva sfidato la magia erotica di uno stregone,

«Prova con me! Mandami una bella ragazza!…» I preti più anziani l’avevano rimproverato e messo in guardia. Non bisognava mai sfidare quella gente. La fede -gli dissero- è una grande difesa contro la magia, ma anche la fede ha i suoi alti e bassi e un dukun potente avrebbe potuto sconfiggerla.

Poi, dopo trent’anni lontano dall’Olanda, padre Willem raccontava di aver visto un uomo, lanciare, con la forza del pensiero, un chiodo incandescente contro la casa del rivale, presto avvolta dalle fiamme, di ossa rotte guarite in quattro giorni, applicando intorno al braccio una poltiglia di gallo nero, di montagne sulle quali non si riusciva ad arrivare senza chiedere permesso allo spirito guardiano. Le storie di padre Willem non parevano credibili, eppure egli era un uomo di chiesa e non sembrava affatto pazzo.

Sacerdote e giornalista convennero che un’antica sapienza poteva essere stata smarrita e che forse presto sarebbe andata perduta anche al livello delle pratiche,

«È triste, ma anche la magia sta scomparendo.. La televisione fa vedere il resto del mondo e tutti vogliono diventare come tutti. È triste, ma è così.. E ora assisto a uno strano fenomeno: loro si muovono sempre più verso la mia civiltà e io mi muovo sempre più verso la loro. Questo è diventato per me un vero problema di coscienza», disse padre Willem. «Sono un prete, sono venuto qui a portare la mia fede, ma in qualche modo mi interesso sempre di più alla loro fede, sono affascinato dal loro mondo, il mondo vero, quello che sta sotto il mondo delle apparenze fatto di Islam, di Buddhismo e anche del mio cristianesimo.» Come lo capivo!

Anche senza aereo Terzani non rinunciò, come ogni anno, alle vacanze in Europa. Via terra e via mare, attraverso la Cambogia, il Vietnam, la Cina e la Mongolia, potevano riprendere forma e bellezza i confini, disegnati dalla natura e dai popoli,

ecco di nuovo una frontiera che vedevo, che sentivo fisicamente; di nuovo la gioia di un paese che sentivo di meritarmi per la fatica che facevo nell’avvicinarmi, lentamente, ad uno dei suoi passi.. A una curva alzai gli occhi e la Cina con la sua storia, la sua cultura, la sua grandezza era lì in un’imponente, vecchia fortificazione.. Mi lasciavo dietro un povero, duro, testardo piccolo paese [Vietnam] ed entravo in un maestoso impero, sicuro e pieno di sé.

Niente a che vedere con centinaia di atterraggi, sempre uguali, nel medesimo globalizzato degli aeroporti.

Da Nanning, nell’estremo sud della Cina, i binari giungevano fino in Europa. Come fuori dal tempo, in Mongolia, fu lo scrittore polacco Ferdinand Ossendowski (1876-1945) ad accompagnare Terzani che volle rileggere Bestie Uomini e Dei, nei loghi ove lama e streghe avevano letto il destino del mistico, sanguinario generale zarista Ungern von Sternberg (1886-1921).

Percorsa tutta la Transiberiana, l’anno senza aerei non era finito, rimaneva da raggiungere Londra per l’edizione inglese di Buona notte, signor Lenin. Terzani avvistò le bianche scogliere di Dover, navigando la Manica. Il tunnel sottomarino in costruzione sarebbe stato poco romantico.

Da qualche parte c’è qualcuno, per il quale nessuno ha votato, che spinge perché il mondo giri sempre più alla svelta, perché gli uomini diventino sempre più uguali in nome di una roba chiamata «globalizzazione» di cui pochi conoscono il significato e ancor meno hanno detto di volere,

pensava Terzani innanzi alla brama di scavare sotto il mare, o magari forare le montagne per correre sempre più veloce.

Lasciata l’Inghilterra, Amburgo sorse lentissima, tra l’Elba e il Mare del Nord, solo alle navi mostrava l’anima anseatica. Nella sede di Der Spiegel si avverarono le promesse impossibili di numerosi indovini, il trasferimento in un paese nuovo nel 1994. Una sede da corrispondente si era liberata, l’India.

La Triesete riportò Terzani verso oriente, felicemente accompagnato dalla moglie Angela, da La Spezia a Singapore. La ciurma era tutta italiana, gli ufficiali eleganti e raffinati. Poi, come nei romanzi, evasi marinai, romantici mozzi, nostromi; eppure qualche sindacato aveva ritenuto che fosse più dignitoso tradurli nella neolingua: tutti comuni polivalenti.

Il cuoco napoletano che mai servì due volte lo stesso piatto, si dispiaceva che il telefono gli avesse tolto la possibilità di scrivere a casa e ricevere lettere. Le cabine degli allievi ufficiali erano vuote. Il capitano lamentava che non ci fosse più da saper guardare il mare, neanche per scoprire una secca. L’uomo poteva pure dimenticare la sua conoscenza millenaria, meglio lasciar fare alle macchine.

Tutto il tempo a bordo avevamo la sensazione di assistere a qualcosa che finiva.. Poco dopo aver doppiato il Capo Guardafui, guarda e fuggi, il marconista ricevette un messaggio dei sindacati che invitavano l’equipaggio a far sciopero: la società di Stato, proprietaria della Trieste, era in trattative per venderla. Al suo ritorno la nave sarebbe passata sotto il controllo di qualche multinazionale, che l’avrebbe ribattezzata, l’avrebbe registrata in qualche paese di comodo e avrebbe sostituito gli italianissimi «comuni polivalenti» con marinai asiatici, magari cinesi, pagati meno di 50 dollari al mese. Quello era dunque l’ultimo viaggio di una delle poche navi che battevano ancora bandiera italiana. Seduto a poppa, mi chiedevo quanto ancora potrà durare un mondo così, retto esclusivamente dai criteri incolti, disumani e immorali dell’economia.

Secondo il calendario cinese, l’anno senza aerei sarebbe finito l’otto febbraio 1994. A dicembre, giunse a Bangkok l’invito per un Capodanno gregoriano insolito quanto quello nel Laos. Morto Pablo Escobar (1949-1993), imprigionato Manuel Noriega (1934-2017); Khun Sa era asceso a nuovo re della droga. Tale sovrano invitava Terzani, con il giornalista svedese Bertil Lindner, ammirato dal collega come una sorta di Sven Hedin (1865-1952) reincarnato, a festeggiare il nuovo anno alla sua coorte.

Khun Sa era un personaggio davvero sinistro, il fiume immenso di dolore, morte ed eroina che inondava il mondo, sgorgava allora soprattutto dal suo Paese degli Shan, la minoranza etnica in guerra contro il governo centrale birmano. Il re della droga si atteggiava allora quale Che Guevara degli Shan che sarebbero stati ben contenti di sradicare i papaveri in cambio dell’indipendenza -la guerriglia costa cara- come pare il loro comandante avesse offerto varie volte agli Stati Uniti. I coltivatori avevano poco da guadagnare rispetto alla catena degli intermediari. Lo stesso Terzani ricordava poi come fosse stata proprio la Cia, ad aiutare i nazionalisti cinesi, sconfitti in patria da Mao Zedong, a stabilirsi in Birmania e di lì, a portare avanti la guerriglia anticomunista, finanziandosi con l’oppio; Kun Sa si era schierato al loro fianco, guadagnandosi lo stesso appoggio.

In questo modo Terzani concluse l’anno, duettando al karaoke con il re della droga e visitandone la villetta, l’unica casa in muratura nella sua piccola capitale, Ho Mong.

Ai muri c’erano le foto ricordo di alcuni stranieri: un lord inglese con la moglie, il figlio di un capo della polizia di New York, un ex colonnello americano delle Forze Speciali. «Perché sono qui ?» «Amici», fu la risposta.

Due comode strade collegavano Ho Mong alla Thailandia e la linea telefonica permetteva di chiamare in tutto il mondo. I grandi manager della droga, forse davvero più importanti e rispettabili di Khun Sa, dormivano negli stessi hotel ed usavano le stesse banche di tutti gli altri manager.

In estremo oriente i sevizi segreti mantenevano al loro interno anche esperti astrologi. Anticipare i consigli politici dell’astrologo nemico, poteva rivelarsi vantaggioso per prevedere le scelte di una nazione. A Hong Kong perfino i britannici si votavano alle stelle, per tentare di anticipare la Cina occulta. Mentre, forse, i servizi segreti indiani, sudcoreani o vietnamiti, avrebbero desiderato conoscere l’esatta ora natale del presidente cinese Deng Xiaoping (1904-1997): un segreto di stato.

Khun Sa non temeva il cielo e rivelò tranquillamente le informazioni utili per farsi scrivere l’oroscopo.

A Ho Mong sorgeva una pagoda, gli Shan erano buddisti e l’abate astrologo. Terzani, assieme a Lindner, fu ricevuto l’ultima notte prima della partenza. Il monaco domandò ai giornalisti quando fossero nati, Terzani dichiarò la mattina del ventidue febbraio 1934, il compleanno di Khun Sa. “Tu hai avuto un’infanzia difficile e senza guida. Forse hai perso i genitori quando eri ancora piccolo. La tua è una vita di avventure.. nel tuo cuore ci sono state varie donne e hai avuto molti figli..“, Terzani temette di essere scoperto, la biografia coincideva in maniera spaventosa con quella del re della droga. Neanche l’abate seppe però distinguere il guerrigliero Shan dal trafficante di morte,

Tu hai molti nemici e te ne crei sempre di nuovi. La tua vita è sempre stata in pericolo.. il tuo è uno strano oroscopo, un oroscopo pieno di misteri. Sei qualcuno di cui pochi sanno davvero chi sei, se sei una persona buona o una cattiva.

Il miglior astrologo andò perso, per fare uno scherzo.

Diversi indovini e per primo il monaco fiorentino Chang Choub, avevano consigliato di meditare. Per decenni, Terzani aveva classificato la meditazione come una distrazione dal mondo, lo svago di personaggi scapestrati. Eppure la posizione giusta per concludere un anno come il 1993 doveva essere quella del loto, con un corso nel nord della Thailandia. L’insegnante John Coleman (1930-2012), seguiva il metodo di Sayagyi U Ba Khin (1899-1971), dal quale lui stesso aveva imparato, proprio la tecnica di meditazione che un impressionante indovino birmano aveva consigliato a Terzani.

Con Un indovino mi disse, entravano così nell’opera letteraria di Terzani i temi fondamentali della meditazione, dell’interesse per la spiritualità e la religione, la differenza culturale quale valore imprescindibile; assieme alla condanna netta del primato economico e del modello unico, imposto al mondo con la globalizzazione. Passando dai fronti caldi, ove la strategia geopolitica delle potenze forgiava i grandi eventi, al mondo degli indovini e delle culture dietro agli eventi, il giornalista serio ed affermato dubitò che i colleghi non lo prendessero per matto o che i suoi lettori non lo capissero ma il successo dell’Indovino fu enorme ed immediato.

L’incidente aereo capitò invece a Joachim Holzgen che Der Spiegel aveva inviato in oriente per sostituire Terzani, quando non era possibile rinunciare a volare. Il 20 marzo 1993 a Siem Reap, in Cambogia, un elicottero della missione Onu che trasportava 15 giornalisti, precipitò in fase di atterraggio. Quindici metri di altezza, i serbatoi pieni che inzupparono i passeggeri ma forse la scintilla non era a bordo e non ci furono vittime. Fato o banale coincidenza ? «Al diavolo te e il tuo indovino ! Hai visto ?», aveva esclamato Holzgen, dal suo letto d’ospedale, appena udita la voce di Terzani.

Dopo l’incidente considerare la predizione solamente come un gioco divenne più difficile, non fu però ragione di perdersi nella fumisteria degli indovini. Concluso il corso di meditazione, anche il calendario cinese iniziava ormai a volgere al termine, “mancavano ancora due settimane alla vera fine del 1993 e del mio anno senza aerei, ma io sentii una gran voglia di riaffermare la mia fiorentinità, di riprendere in mano il mio destino, e di sfidare quella proibizione con cui ero vissuto per tredici mesi “: Chiang Mai-Bangkok, Tiziano Terzani riprese il volo.



di Alessio Mariani

fonte: lintellettualedissidente.it

30/05/20

Italo Calvino, Prima che tu dica "Pronto” - La pecora nera


C’era un paese dove erano tutti ladri. La notte ogni abitante usciva, coi grimaldelli e la lanterna cieca, e andava a scassinare la casa di un vicino. Rincasava all’alba, carico, e trovata la casa svaligiata.

E così tutti vivevano in concordia e senza danno, poiché l’uno rubava all’altro, e questo a un altro ancora e così via, finché non si rubava a un ultimo che rubava al primo. Il commercio in quel paese si praticava solo sotto forma d’imbroglio e da parte di chi vendeva e da parte di chi comprava. Il governo era un’associazione a delinquere ai danni dei sudditi, e i sudditi dal canto loro badavano solo a frodare il governo. Così la vita proseguiva senza inciampi, e non c’erano né ricchi né poveri. Ora, non si sa come, accadde che nel paese di venisse a trovare un uomo onesto. La notte, invece di uscirsene col sacco e la lanterna, stava in casa a fumare e a leggere romanzi. Venivano i ladri, vedevano la luce accesa e non salivano.

Questo fatto durò per un poco: poi bisognò fargli comprendere che se lui voleva vivere senza far niente, non era una buona ragione per non lasciar fare agli altri. Ogni notte che lui passava in casa, era una famiglia che non mangiava l’indomani. Di fronte a queste ragioni l’uomo onesto non poteva opporsi. Prese anche lui a uscire la sera per tornare all’alba, ma a rubare non ci andava. Onesto era, non c’era nulla da fare. Andava fino al ponte e stava a veder passare l’acqua sotto. Tornava a casa, e la trovava svaligiata.

In meno di una settimana l’uomo onesto si trovò senza un soldo, senza di che mangiare, con la casa vuota. Ma fin qui poco male, perché era colpa sua; il guaio era che da questo suo modo di fare ne nasceva tutto un cambiamento. Perché lui si faceva rubare tutto e intanto non rubava a nessuno; così c’era sempre qualcuno che rincasando all’alba trovava la casa intatta: la casa che avrebbe dovuto svaligiare lui. Fatto sta che dopo un poco quelli che non venivano derubati si trovarono ad essere più ricchi degli altri e a non voler più rubare. E, d’altronde, quelli che venivano per rubare in casa dell’uomo onesto la trovarono sempre vuota; così diventavano poveri. Intanto, quelli diventati ricchi presero l’abitudine anche loro di andare la notte sul punte, a veder l’acqua che passava sotto. Questo aumentò lo scompiglio, perché ci furono molti altri che diventarono ricchi e molti altri che diventarono poveri.

Ora, i ricchi videro che ad andare la notte sul punte, dopo un po’ sarebbero diventati poveri. E pensarono: – Paghiamo dei poveri che vadano a rubare per conto nostro -. Si fecero i contratti, furono stabiliti i salari, le percentuali: naturalmente sempre ladri erano, e cercavano di ingannarsi gli uni con gli altri. Ma, come succede, i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. C’erano dei ricchi così ricchi da non avere più bisogno di rubare per continuare a esser ricchi. Però se smettevano di rubare diventavano poveri perché i poveri li derubavano. Allora pagarono i più poveri dei poveri per difendere la roba loro dagli altri poveri, e così istituirono la polizia, e costruirono le carceri.

In tal modo, già pochi anni dopo l’avvenimento dell’uomo onesto, non si parlava più di rubare o di esser derubati ma solo di ricchi e poveri; eppure erano sempre tutti ladri. Di onesti c’è stato solo quel tale, ed era morto subito, di fame.

Italo Calvino, Prima che tu dica "Pronto" - La pecora nera

29/05/20

Covid 19 tra ricchezza e povertà, Vittorio Zanini

Questa pandemia non ha fatto altro che riconfermare ed evidenziare la generosità dei poveri e l'egoismo dei ricchi: chi ha poco cerca di aiutare chi non ha più niente, mentre chi ha molto si approfitta di questa tragedia come un avvoltoio per arricchirsi ancora di più.

Vittorio Zanini

26/05/20

Zygmunt Bauman, Intervista sull’Identità


L’Identità non è scolpita nella roccia, ma è costituita da fattori cruciali, come le decisioni, i passi che si intraprendono, il modo in cui si agisce e la determinazione a tener fede a tutto ciò…Paul Ricoeur parla di memete ovvero di coerenza e continuità dell’identità nel tempo, il che diventa un problema per come questa viene concepita oggi.
Il problema attuale è che l’identità rappresenta qualcosa che va inventato più che scoperto, come il traguardo di uno sforzo, pertanto è qualcosa che è ancora necessario costruire da zero o selezionare tra offerte alternative.
Le comunità virtuali che hanno sostituto quelle naturali, creano solo l’illusione di intimità e una finzione di comunità. Non sono validi sostituti del sedersi insieme ad un tavolo, guardarsi in faccia, avere una conversazione reale. Nè sono in grado queste comunità virtuali di dare sostanza all’identità personale, la ragione primaria per cui le si cerca. Rendono semmai più difficile di quanto non sia già accordarsi con se stessi. Le persone camminano qua e la con l’auricolare parlando ad alta voce da soli, come schizofrenici, paranoici, incuranti di ciò che sta loro intorno . L’introspezione è un’attività che sta scomparendo. Sempre più persone, quando si trovano a fronteggiare momenti di solitudine nella propria auto, per strada o alla cassa del supermercato, invece di raccogliere i pensieri, controllano se ci sono messaggi sul cellulare per avere qualche brandello di evidenza che dimostri loro che qualcuno da qualche parte, forse li vuole o ha bisogno di loro...

Le donne e gli uomini del nostro tempo sono ossessionati dallo spettro dell’esclusione, hanno paura di rimanere soli, senza la prospettiva di qualcuno che li ami o li aiuti, patendo la mancanza del calore, del confort e della sicurezza sociale. Non c’è da meravigliarci che per molte persone la promessa di “rinascere” in una nuova casa calda e sicura come una famiglia rappresenti una tentazione cui riesce difficile resistere.
E’ vero si compone la propria identità (o le proprie identità) come si compone un disegno partendo dai pezzi di un puzzle, il problema è che il puzzle è difettoso e mancano alcuni pezzi. Ma al contrario di un puzzle comprato in un negozio, nessuna agevolazione è disponibile al momento in cui componi la tua identità. Il puzzle comprato in un negozio è orientato ad un obiettivo; si parte dal punto finale e incastri i pezzi insieme. Nel caso dell’identità tu non parti dall’immagine finale, ma da una certa quantità di pezzi di cui sei già entrato in possesso o che che ti sembra valga la pena di possedere e quindi cerchi di scoprire come ordinarli e riordinarli per ottenere un certo numero di immagini soddisfacenti. Fai esperimenti con ciò che hai. Il problema non è cosa ti serve per andare lì, per arrivare al punto che vuoi raggiungere, ma quali sono i punti che puoi raggiungere sulla base delle risorse già in tuo possesso o di quelle per ottenere le quali vale la pena che tu profonda il tuo impegno. Secondo Claude Lèy-Strauss è un lavoro da bricoleur…Un tempo ogni classe aveva i suoi percorsi di carriera, una traiettoria tracciata senza ambiguità. Definire l’identità come il compito e lo scopo di tutta una vita era un atto di liberazione. Oggi occorre per fare delle scelte, avere una tripla fiducia (in se stessi, negli altri, nella società). E’ indispensabile che la società sia un arbitro, non un giocatore come gli altri che tiene nascoste le carte e cerca di prendervi di sorpresa. Questa società è fluida, nel senso che non è in grado di mantenere a lungo una forma. Sembra di vivere in un universo di Escher, dove nessuno, in nessun punto, è in grado di distinguere una strada che porta in cima da una china discendente… essa fa pensare piuttosto ad un abile e impassibile giocatore di poker, particolarmente astuto, scaltro e ingannatore, che bara non appena ne ha la possibilità e non tiene conto delle regole ogni volta che gli sia possibile: un vecchio maestro dei sotterfugi, nella destrezza con cui sfida le aspettative e si sottrae alle sue promesse…Colleziona sensazioni, emozioni e le sensazioni sono per la loro stessa natura, fragili e di breve durata e altrettanto volatili delle situazioni che le hanno innescate. La strategia del carpe diem è una risposta a un mondo svuotato di valori.
La storia moderna è stata ed è ancora uno sforzo continuo per spingere sempre più in là i limiti di ciò che può essere modificato dagli esseri umani a loro piacimento e migliorato per adattarsi meglio alle esigenze e ai desideri umani. I valori di oggi sono sostituiti dagli oggetti, sempre liquidi. Nei negozi c è un qualche aggeggio che non aspetta altri che voi, pronto a trasformarvi sul momento nel personaggio che volete essere, in come volete essere visti ed essere riconosciuti.
Pertanto non esiste un unica identità per persone che corrono dietro ai cambiamenti della moda: sempre e soltanto mode..noi ci identifichiamo con le persone con cui siamo in relazione o assomigliamo sempre più all’uso/logorio delle automobili a imitazione di quel ciclo che inizia con l’acquisto e finisce con la discarica. I stratagemmi lenitivi con cui si affrontano le relazioni è deprezzare, sminuire, svalutare i valori. Soggetta a pressioni contraddittorie ogni relazione viene concepita come un rapporto fino a nuovo avviso, la cui rottura è qualcosa che è ragionevole aspettarsi ed è meglio pensare in anticipo.
Oggi si è avvelenati da un costante sentimento di mancanza degli altri nella vita, con sensazioni di vuoto e solitudine non dissimili dal lutto. Affetti da depressione di dipendenza è nell’abbandono, nell’esclusione, nell’essere respinti, ripudiati, spogliati da ciò che siamo, che vediamo rifiutata la nostra identità. Temiamo che ci vengano negati compagnia, amore, aiuto. In fondo questo ci viene mostrato quando le televisioni ci ricordano ogni giorno che alcuni possono farlo impunemente, gettando davanti alle nostre porte quegli individui che sono già stati respinti, costretti a scappare via, a fuggire da casa loro per cercare i mezzi per restare in vita, derubati dal’autostima e dell’identità.
La confusione che la domanda circa l’identità provoca nella nostra testa è genuina, siamo probabilmente destinati a dibatterci tra il desiderio di un identità di nostro gusto e di nostra scelta e il timore che una volta acquistata quest’identità si finisca con lo scoprire che non è nostra,
Inoltre la soddisfazione nell’amore individuale non può essere raggiunta senza la capacità di amare il prossimo con umiltà, fede e coraggio. Significa rendersi dipendenti da un’altra persona dotata di una sua identità. La modalità consumistica esige che la soddisfazione debba essere istantanea, per non essere perennemente tempestati dall’ansia. Il prezzo elevato che una relazione richiede, ovvero l’impegno, appare quindi poco giustificato difronte ai sostituiti apparentemente più economici disponibili sul mercato. Abbiamo bisogno di relazioni, abbiamo bisogno di relazioni su cui poter contare, cui fare riferimento o per definire noi stessi. E se nella qualità non ci si può fidare, forse la salvezza può venire dalla quantità ?
E così cerchiamo riparo nelle “reti”, che hanno il vantaggio, rispetto ai legami ferrei, di avere il comfort di essere in contatto senza i disagi che il contatto effettivo può riservare. Sostituiamo le poche relazioni profonde con una massa di esili e vuoti contatti.
Desideriamo ardentemente stare in contatto mantenendo allo stesso tempo la distanza… e la velocità del cambiamento assesta un colpo mortale al valore e alla durevolezza.

Zygmunt Bauman, Intervista sull’Identità

21/05/20

Hermann Hesse, Il lupo della steppa


La solitudine è indipendenza: l'avevo desiderata e me l'ero conquistata in tanti anni. Era fredda, questo sì, ma era anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri. [...]

La maggioranza degli uomini, cioè tutti quelli del gregge, non hanno mai gustato la solitudine. Si staccano, sì, una volta da babbo e mamma, ma solo per strisciare presso una donna e sprofondare al più presto in un calore e in un legame nuovi. Mai che siano soli, mai che parlino con se stessi.

Hermann Hesse, Il lupo della steppa

18/05/20

Noam Chomsky: il futuro che ci aspetta


Quali lezioni positive possiamo ricavare dalla pandemia?

La prima lezione è che siamo di fronte a un altro errore colossale del capitalismo neoliberista. Se non capiamo questo, la prossima volta che ci succederà qualcosa di simile andrà ancora peggio. È ovvio dopo quello che successe in seguito all’epidemia della SARS nel 2003. Gli scienziati sapevano che sarebbero arrivate altre pandemie, forse del tipo del coronavirus. In quel momento sarebbe stato possibile prepararsi e trattarlo come si fa con l’influenza, ma non è stato fatto.

Le aziende farmaceutiche hanno le risorse e sono ricchissime, ma non lo fanno perché i mercati dicono che non ci sono benefici nel prepararsi a una catastrofe dietro l’angolo. Poi arriva la batosta neoliberista. I governi non possono fare nulla. Continuano a essere il problema e non la soluzione. Gli Stati Uniti sono una catastrofe per il gioco che portano avanti a Washington. Sanno come incolpare tutti eccetto se stessi, nonostante siano responsabili. Adesso siamo l’epicentro, in un paese talmente disfunzionale che non riesce nemmeno a fornire informazioni sul contagio all’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS).

Che cosa pensa della gestione dell’amministrazione Trump?

Il modo in cui è stata gestita la pandemia è surreale. A febbraio stava già imperversando; tutti lo riconoscevano negli Stati Uniti. Proprio a febbraio, Trump ha presentato dei bilanci che vale la pena di analizzare. Tagli al Centro di Prevenzione e Controllo delle Malattie e in altri campi relazionati con la sanità. Tagli nel bel mezzo di una pandemia, aumentando invece il finanziamento alle industrie di energia fossile, alle spese militari, al famoso muro…

Tutto ciò la dice lunga sull’indole dei buffoni psicopatici che guidano il governo e che sono la causa del malessere del paese. Adesso cercano disperatamente di incolpare qualcuno. Incolpano la Cina, l’OMS… e tutto ciò che hanno fatto all’OMS è un vero crimine. Cosa vuol dire sospendere i finanziamenti? L’OMS lavora in tutto il mondo, principalmente nei paesi poveri e si trova davanti a problemi come la diarrea, la maternità… e quindi come si giustificano? “Bene, uccidiamo un mucchio di gente del sud perché forse questo ci aiuterà in vista della campagna elettorale”. Questo è un mondo di psicopatici.

Trump ha cominciato negando la crisi, ha persino detto che si trattava di una bufala dei democratici. Questa potrebbe essere la prima volta in cui Trump è stato superato dai fatti?

Bisogna riconoscere un merito a Trump… è probabilmente l’uomo più sicuro di sé che sia mai esistito. È capace di reggere con una mano uno striscione con su scritto “Vi amo, sono il vostro salvatore, abbiate fiducia in me perché lavoro giorno e notto per voi” e con l’altra mano pugnalarti alle spalle. È questo il modo con cui si rivolge ai suoi elettori, che lo adorano indipendentemente da ciò che fa. E viene aiutato dal fenomeno mediatico costituito da Fox News, Rush Limbaugh, Breitbart… ossia gli unici media che guardano i repubblicani.

Se un giorno Trump dice “è solo un’influenza, dimenticatela”, loro lo confermeranno, diranno che è solo un’influenza e che bisogna dimenticarsene. Se il giorno dopo dice che è una pandemia terribile e che è stato il primo a rendersene conto, lo grideranno tutti insieme e diranno che è la persona migliore della storia. Allo stesso modo, lui guarda Fox News ogni mattina e decide cosa gli conviene dire. È una cosa impressionante. Rupert Murdoch, Limbaugh e gli psicopatici della Casa Bianca stanno portando il paese alla rovina.

Questa pandemia può cambiare il modo in cui ci relazioniamo alla natura?


Questo dipende dai giovani. Dipende dalla reazione della popolazione mondiale. Potrebbe portarci a Stati autoritari e repressivi, che accentuino ancora di più il modello neoliberista. Bisogna ricordarselo: il capitalismo non cede. Pretendono più finanziamenti per i combustibili fossili, distruggono i regolamenti che offrono una certa protezione… Nel bel mezzo della pandemia negli USA sono state eliminate norme che limitavano l’emissione di mercurio e di altre sostanze nocive… Questo significa uccidere più bambini statunitensi possibile e distruggere l’ambiente. Non si fermano. E se nessuno si oppone, questo è il mondo che ci resterà.

In termini geopolitici come sarà suddivisa la mappa del potere dopo la pandemia?

Quello che sta accadendo a livello internazionale è piuttosto scioccante. C’è questa cosa che chiamano Unione Europea. Sentiamo la parola ‘unione’. Ok, guardate la Germania, che sta gestendo molto bene la crisi… In Italia la crisi è acuta… Stanno ricevendo aiuto dalla Germania? Fortunatamente ricevono aiuto, ma da una “superpotenza” come Cuba, che invia medici. O dalla Cina, che sta inviando materiale e aiuti. Ma non ricevono assistenza dai paesi ricchi dell’Unione Europea. Questo la dice lunga…

L’unica nazione che ha dimostrato un autentico internazionalismo è Cuba, sottoposta da sempre allo strangolamento economico degli Stati Uniti e che per qualche miracolo è riuscita a sopravvivere per continuare a mostrare al mondo cos’è l’internazionalismo. Questo però non si può dire negli Stati Uniti, perché quello che si deve fare è incolpare i cubani per le violazioni dei diritti umani. In realtà le peggiori violazioni dei diritti umani si verificano nel sud-est di Cuba, in un luogo chiamato Guantánamo, che gli Stati Uniti si sono presi con la forza e si rifiutano di restituire. Una persona istruita e obbediente dovrebbe dare la colpa alla Cina, invocare il “pericolo giallo” e dire che i cinesi stanno venendo a distruggerci; siamo meravigliosi. C’è un appello all’internazionalismo progressista con la coalizione avviata da Bernie Sanders negli Stati Uniti o da Yanis Varoufakis in Europa. Portano elementi progressisti per contrastare il movimento reazionario che è stato forgiato dalla Casa Bianca (…) per mano di Stati brutali in Medio Oriente, Israele (…) o con persone come Orban o Salvini, il cui massimo godimento nella vita è quello di assicurarsi che le persone che fuggono disperatamente dall’Africa anneghino nel Mediterraneo. Con tutto questo movimento reazionario internazionale bisogna chiedersi: qualcuno li contrasterà? E tutto ciò che vedo è la speranza in ciò che Bernie Sanders ha costruito.

Però Bernie Sanders ha perso…

Molti ritengono che la campagna di Sanders sia stata un fallimento, ma questo è un errore madornale. È stato un grande successo. Sanders è riuscito a cambiare la portata della discussione e della politica e temi molto importanti che un paio di anni fa non si potevano menzionare ora sono al centro della discussione, come il Green New Deal, che è essenziale per la sopravvivenza.

Non è stato finanziato dai ricchi, non ha avuto il sostegno dei media… L’apparato del Partito Democratico ha dovuto manipolare le primarie per evitare che vincesse la nomination. Proprio come nel Regno Unito l’ala destra del Partito Laburista ha distrutto Jeremy Corbyn, che stava democratizzando il partito in un modo che loro non potevano sopportare. Erano disposti perfino a perdere le elezioni (pur di eliminarlo). Ne abbiamo viste tante negli Stati Uniti, ma il movimento rimane. E’ popolare. Sta crescendo. E’ qualcosa di nuovo … Ci sono movimenti simili in Europa e possono fare la differenza.

Cosa pensa che succederà con la globalizzazione così come la conosciamo?

Non c’è niente di sbagliato nella globalizzazione in sé. È bello fare un viaggio in Spagna, per esempio. La domanda è: quale forma di globalizzazione? Quella che si è sviluppata è stata sotto il segno del neoliberismo. È quello che hanno progettato. Ha arricchito le persone più ricche e messo un enorme potere nelle mani di corporazioni e monopoli. Ha anche portato a una forma di economia molto fragile, basata su un modello di business di efficienza, facendo le cose al minor costo possibile. Questa logica porta per esempio al fatto che gli ospedali non abbiano certe cose perché non sono efficienti.

Ora questo sistema fragile sta crollando perché non può affrontare qualcosa che è andato storto. Quando si progetta un sistema fragile e si centralizza la produzione e la produzione solo in un luogo come la Cina… Guardate Apple. Realizza enormi profitti, pochi dei quali rimangono in Cina o a Taiwan. La maggior parte della sua attività si svolge in un luogo dove probabilmente hanno messo un ufficio grande come il mio studio, in Irlanda, per pagare poche tasse in un paradiso fiscale. Come possono nascondere il denaro nei paradisi fiscali? Fa parte della legge della natura? No. In realtà, in America, fino a Reagan, era illegale. Così come la compravendita di azioni. (…) Erano necessari? Reagan li ha legalizzati. Tutto è stato progettato, sono decisioni che hanno conseguenze che abbiamo visto nel corso degli anni e uno dei motivi della crescita di quello che è stato erroneamente chiamato ‘populismo’. Molte persone erano arrabbiate, risentite e odiavano il governo in modo giustificato. Questo è stato un terreno fertile per i demagoghi che hanno potuto dire: io sono il vostro salvatore e gli immigrati e questo e quello…

Pensa che dopo la pandemia gli Stati Uniti saranno più vicini all’assistenza sanitaria gratuita e universale?

È molto interessante vedere questa discussione. Il programma di Sanders, per esempio, prevede l’assistenza sanitaria universale, le tasse universitarie gratuite… Lo criticano su tutto lo spettro ideologico. La critica più interessante viene da sinistra. I giornalisti più liberali del New York Times, della CNN eccetera dicono che sono buone idee, ma non per gli americani. L’assistenza sanitaria universale esiste ovunque. In tutta Europa, in una forma o nell’altra. In paesi poveri come il Brasile, il Messico… E l’istruzione universitaria gratuita? Ovunque… Finlandia, Germania, Messico… ovunque. Quindi quello che i critici di sinistra dicono è che l’America è una società così arretrata da non riuscire a mettersi in pari con il resto del mondo. E questo la dice lunga sulla natura, la cultura e la società.

Intervista al filosofo e linguista statunitense Noam Chomsky, sull’emergenza che stiamo vivendo. A cura di Cristina Magdaleno di Efe. Traduzione a cura di Francesca Crisci

Fonte: www.beppegrillo.it 

15/05/20

Tatanga Mani, Nativi d'America


Vi è molto di folle nella vostra cosiddetta civiltà. Come pazzi, voi uomini bianchi correte dietro al denaro, finché ne avete così tanto che non potrete vivere abbastanza a lungo per spenderlo. Voi saccheggiate i boschi e la terra, sprecate i combustibili naturali, come se, dopo di voi, non venisse più alcuna generazione, che avrebbe altrettanto bisogno di tutto questo. Voi parlate sempre di un mondo migliore, mentre costruite bombe sempre più potenti, per distruggere quel mondo che avete ora.

Tatanga Mani, Nativi d'America

13/05/20

Charles Bukowski, Storie di ordinaria follia - Stile


Lo stile è una risposta a tutto.
un nuovo modo di affrontare un giorno noioso o pericoloso
fare una cosa noiosa con stile è meglio che fare una cosa pericolosa senza stile.
Fare una cosa pericolosa con stile è ciò che io chiamo arte.

La corrida può essere arte
Boxare può essere arte.
Amare può essere arte.
Aprire una scatola di sardine può essere arte.

Non molti hanno stile.
Non molti possono mantenere lo stile.
Ho visto cani con più stile degli uomini,
Sebbene non molti cani abbiano stile.
I gatti ne hanno in abbondanza.

Quando Hemingway si è fatto saltare le cervella con un fucile, quello era stile.
Alcune persone ti insegnano lo stile.
Giovanna d’Arco aveva stile.
Giovanni il Battista.
Gesù
Socrate.
Cesare.
García Lorca.

In prigione ho conosciuto uomini con stile.
Ho conosciuto più uomini con stile in prigione che fuori di prigione.
Lo stile è una differenza, un modo di fare, un modo di esser fatto.

Sei aironi tranquilli in uno specchio d’acqua, o tu, mentre esci dal bagno nuda senza
vedermi.

Charles Bukowski, Storie di ordinaria follia - Stile

06/05/20

Sembra che siate tutti senza genitori, Vittorio Zanini


Sembra che siate tutti senza genitori. Siete nati sotto i cavoli o vi ha portato la cicogna? Oggi corrono tutti, nessuno ha mai tempo neanche per se stesso, figuriamoci se lo si trova per i vecchi e malati genitori, che per orgoglio dicono sempre di non aver bisogno di niente. E noi fingiamo di credere che stiano bene e non abbiano bisogno di aiuto, cosi la coscienza ce la mettiamo a posto e possiamo ricominciare a correre, senza neanche sapere dove stiamo andando. In questa società usa e getta non c'è più chi recupera e ripara le cose, quando crediamo che non servano più perché si guastano o non producono reddito, si buttano. E invece è proprio il ricordo del passato che ci può salvare dal delirio del presente.

Vittorio Zanini