30/03/20

Rudyard Kipling, Rewards and Fairies - Se


Se riesci a tenere la testa a posto quando tutti intorno a te
l'hanno persa e danno la colpa a te,
se puoi avere fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te,
ma prendi in considerazione anche i loro dubbi.
Se sai aspettare senza stancarti dell'attesa,
o essendo calunniato, non ricambiare con calunnie,
o essendo odiato, non dare spazio all'odio,
senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo da saggio;

Se puoi sognare, senza fare dei sogni i tuoi padroni;
se puoi pensare, senza fare dei pensieri il tuo scopo,
se sai incontrarti con il Successo e la Sconfitta
e trattare questi due impostori allo stesso modo.
Se riesci a sopportare di sentire la verità che hai detto
Distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per gli ingenui,
o guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
e piegarti a ricostruirle con strumenti usurati.

Se puoi fare un solo mucchio di tutte le tue fortune
e rischiarlo in un unico lancio di una monetina,
e perdere, e ricominciare daccapo
senza mai fiatare una parola sulla tua perdita.
Se sai costringere il tuo cuore, nervi, e polsi
a sorreggerti anche quando sono esausti,
e così resistere quando in te non c'è più nulla
tranne la Volontà che dice loro: "Resistete!"

Se riesci a parlare alle folle e conservare la tua virtù,
o passeggiare con i Re, senza perdere il contatto con la gente comune,
se non possono ferirti né i nemici né gli amici affettuosi,
se per te ogni persona conta, ma nessuno troppo.
Se riesci a riempire ogni inesorabile minuto
dando valore a ognuno dei sessanta secondi,
tua è la Terra e tutto ciò che contiene,
e - cosa più importante - sarai un Uomo, figlio mio!

Rudyard Kipling, Rewards and Fairies - Se

26/03/20

Alfio Scandurra, Di asini e di boschi. Il mio ritorno al selvatico


"Cammino sulle nuvole e non desidero niente di più": è una lettura che regala tempo da vivere con lentezza, aria fresca sul viso e profumi di terra e di alberi il libro "Di asini e di boschi", scritto da Alfio Scandurra per Ediciclo Editore nel quale l'autore descrive il suo ritorno alla dimensione selvatica e naturale grazie all'amicizia con un asino. La particolarità del racconto di Scandurra, nato a Pordenone da genitori siciliani, giardiniere specializzato nella potatura di grandi alberi in tree climbing, sta proprio nel fatto che questa esperienza è stata vissuta accanto a Fiocco, questo il nome dell'asino, con una estrema, incredibile naturalezza: l'animale è infatti divenuto per l'autore non solo un compagno di viaggio ma anche un vero e proprio 'strumento vivente' per tornare a sentirsi parte della Natura. Il libro, che raccoglie tanti trekking condotti nel territorio friulano passo dopo passo con l'asino, è una narrazione molto personale, che emoziona e trasmette verità: Scandurra mescola le esperienze vissute seguendo le orecchie di Fiocco "puntate verso l'orizzonte" e il loro lungo cammino - tra notti a guardare le stelle e giorni a vivere rispettando i ritmi naturali, nel buio più buio che c'è e con tutte le gradazioni di luce dall'alba al tramonto - a molti ricordi personali, anche della sua infanzia (bello il racconto delle estati nella campagna siciliana accanto al nonno).
In ogni capitolo non mancano mai 'gli appunti di viaggio', in cui si rivolge a Fiocco come se fosse un dono, forse uno dei più grandi ricevuti nella vita. Del resto l'asino è stato per Scandurra la possibilità concreta di cambiare radicalmente modo di vivere: per la sua esistenza un punto di non ritorno, che gli ha dato l'imput per ricominciare con un altro passo, appunto, più lento, fuori dai sentieri battuti, senza paura ma anzi con la voglia di perdersi nel mondo e dentro se stesso. Fiocco, amico silenzioso, è stato ed è da anni un compagno amorevole e fidato: con lui l'autore non sente solitudine e ritrova la semplicità e l'entusiasmo di allinearsi con l'ambiente naturale, di "perdere tempo", di compiere la propria, personalissima, "rivoluzione interiore" nella speranza di continuare a camminare con lui e ridurre sempre di più la sua "impronta sul mondo".
"Se tutto va bene, invecchieremo insieme", scrive Scandurra rivolgendosi a Fiocco in una lettera alla fine del libro, "immagino che saremo vecchietti, con il passo rallentato, complici per i tanti cammini percorsi e l'intensità dei momenti vissuti. Mi figuro noi due mentre avanziamo verso un prato non troppo lontano per sdraiarci spalla a spalla, per assaporare ancora una volta il piacere del contatto con l'erba fresca di primavera". "Ma non è giunto ancora quel momento", assicura, con la promessa all'amico animale di un nuovo, imperdibile viaggio, come "gagliardi spartani lungo i sentieri del mondo".

fonte: ansa.it

25/03/20

La verità è che siamo tutti dei tossici


C’è a chi manca l’amore e non sa come fare. C’è chi ha bisogno della droga e si strugge. C’è chi deve per forza uscire, perché in casa si sente detenuto. Chi ha bisogno di condurre una vita di lusso… La verità è che siamo tutti dei tossici. Tutti abbiamo bisogno della “nostra droga”. Non esistono drogati di serie A o di serie B. Qualunque cosa può diventare una droga. E non parlo solo di sostanze stupefacenti, s’è ben capito. Il punto è che ognuno ha bisogno di qualcosa, senza la quale la vita non avrebbe senso. Come diceva Svevo, la gente è sana solo quando si accorge di essere malata. Ed ogni uomo è un tossico.

Unknown

23/03/20

Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena - Dilemma del porcospino


Alcuni porcospini, in una fredda giornata d'inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l'uno dall'altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell'altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.

Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l'uno verso l'altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l'uno lontano dall'altro. La distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere.

A colui che non mantiene quella distanza, si dice in Inghilterra: keep your distance! − Con essa il bisogno del calore reciproco è soddisfatto in modo incompleto, in compenso però non si soffre delle spine altrui. − Colui, però, che possiede molto calore interno preferisce rinunciare alla società, per non dare né ricevere sensazioni sgradevoli.

Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena - Dilemma del porcospino

15/03/20

Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione



Ecco, secondo un regolamento della fine del secolo XVII, le precauzioni da prendere quando la peste si manifestava in una città. Prima di tutto una rigorosa divisione spaziale in settori: chiusura, beninteso, della città e del «territorio agricolo» circostante, interdizione di uscirne sotto pena della vita, uccisione di tutti gli animali randagi; suddivisione della città in quartieri separati, dove viene istituito il potere di un intendente. Ogni strada è posta sotto l’autorità di un sindaco, che ne ha la sorveglianza; se la lasciasse, sarebbe punito con la morte. Il giorno designato, si ordina che ciascuno si chiuda nella propria casa: proibizione di uscirne sotto pena della vita. Il sindaco va di persona a chiudere, dall’esterno, la porta di ogni casa; porta con sé la chiave, che rimette all’intendente di quartiere; questi la conserva fino alla fine della quarantena. Ogni famiglia avrà fatto le sue provviste, ma per il vino e il pane saranno state preparate, tra la strada e l’interno delle case, delle piccole condutture in legno, che permetteranno di fornire a ciascuno la sua razione, senza che vi sia comunicazione tra fornitori e abitanti; per la carne, il pesce, le verdure, saranno utilizzate delle carrucole e delle ceste. Se sarà assolutamente necessario uscire di casa, lo si farà uno alla volta, ed evitando ogni incontro. Non circolano che gli intendenti, i sindaci, i soldati della guardia e, anche tra le cose infette, da un cadavere all’altro, i “corvi” che è indifferente abbandonare alla morte: sono «persone da poco che trasportano i malati, interrano i morti, puliscono e fanno molti servizi vili e abbietti». Spazio tagliato con esattezza, immobile, coagulato. Ciascuno è stivato al suo posto. E se si muove, ne va della vita, contagio o punizione.

L’ispezione funziona senza posa. Il controllo è ovunque all’erta: «Un considerevole corpo di milizia, comandato da buoni ufficiali e gente per bene», corpi di guardia alle porte, al palazzo comunale ed in ogni quartiere, per rendere l’obbedienza della popolazione più pronta e l’autorità dei magistrati più assoluta, «come anche per sorvegliare tutti i disordini, ruberie, saccheggi». Alle porte, posti di sorveglianza; a capo delle strade, sentinelle. Ogni giorno, l’intendente visita il quartiere di cui è responsabile, si informa se i sindaci adempiono ai loro compiti, se gli abitanti hanno da lamentarsene; sorvegliano «le loro azioni». Ogni giorno, anche il sindaco passa per la strada di cui è responsabile; si ferma davanti ad ogni casa; fa mettere tutti gli abitanti alle finestre (quelli che abitassero nella corte si vedranno assegnare una finestra sulla strada dove nessun altro all’infuori di loro potrà mostrarsi); chiama ciascuno per nome; si informa dello stato di tutti, uno per uno – «nel caso che gli abitanti saranno obbligati a dire la verità, sotto pena della vita»; se qualcuno non si presenterà alla finestra, il sindaco ne chiederà le ragioni: «In questo modo scoprirà facilmente se si dia ricetto a morti o ad ammalati».

Ciascuno chiuso nella sua gabbia, ciascuno alla sua finestra, rispondendo al proprio nome, mostrandosi quando glielo si chiede: è la grande rivista dei vivi e dei morti.

Questa sorveglianza si basa su un sistema di registrazione permanente: rapporti dei sindaci agli intendenti, degli intendenti agli scabini o al sindaco della città. All’inizio della “serrata”, viene stabilito il ruolo di tutti gli abitanti presenti nella città, uno per uno; vi si riporta «il nome, l’età, il sesso, senza eccezione di condizione»: un esemplare per l’intendente del quartiere, un secondo nell’ufficio comunale, un altro per il sindaco della strada, perché possa fare l’appello giornaliero. Tutto ciò che viene osservato nel corso delle visite – morti, malattie, reclami, irregolarità – viene annotato, trasmesso agli intendenti e ai magistrati. Questi sovrintendono alle cure mediche; da loro viene designato un medico responsabile; nessun altro sanitario può curare, nessun farmacista preparare i medicamenti, nessun confessore visitare un malato, senza aver ricevuto da lui un’autorizzazione scritta «per evitare che si dia ricetto e si curino, all’insaputa del magistrato dei malati contagiosi».

Il rapporto di ciascun individuo con la propria malattia e con la propria morte, passa per le istanze del potere, la registrazione che esse ne fanno, le decisioni che esse prendono.

Cinque o sei giorni dopo l’inizio della quarantena, si procede alla disinfezione delle case, una per una. Si fanno uscire tutti gli abitanti; in ogni stanza si sollevano o si sospendono «i mobili e le merci»; si spargono delle essenze; si fanno bruciare dopo aver chiuso con cura le finestre, le porte e perfino i buchi delle serrature, che vengono riempiti di cera. Infine, si chiude la casa intera, mentre si consumano le essenze; come all’ingresso, si perquisiscono i profumatori «in presenza degli abitanti della casa, per vedere se essi non abbiano, uscendo, qualcosa che non avessero entrando». Quattro ore dopo, gli abitanti possono rientrare in casa.

Questo spazio chiuso, tagliato con esattezza, sorvegliato in ogni suo punto, in cui gli individui sono inseriti in un posto fisso, in cui i minimi movimenti sono controllati e tutti gli avvenimenti registrati, in cui un ininterrotto lavoro di scritturazione collega il centro alla periferia, in cui il potere si esercita senza interruzioni, secondo una figura gerarchica continua, in cui ogni individuo è costantemente reperito, esaminato e distribuito tra i vivi, gli ammalati, i morti – tutto ciò costituisce un modello compatto di dispositivo disciplinare. Alla peste risponde l’ordine. La sua funzione è di risolvere tutte le confusioni: quella della malattia, che si trasmette quando i corpi si mescolano; quella del male che si moltiplica quando la paura e la morte cancellano gli interdetti. Esso prescrive a ciascuno il suo posto, a ciascuno il suo corpo, a ciascuno la sua malattia e la sua morte, a ciascuno il suo bene per effetto di un potere onnipresente e onnisciente che si suddivide, lui stesso, in modo regolare e ininterrotto fino alla determinazione finale dell’individuo, di ciò che lo caratterizza, di ciò che gli appartiene, di ciò che gli accade. Contro la peste che è miscuglio, la disciplina fa valere il suo potere che è di analisi. Ci fu intorno alla peste, tutta una finzione letteraria di festa: le leggi sospese, gli interdetti tolti, la frenesia del tempo che passa, i corpi che si allacciano irrispettosamente, gli individui che si smascherano, che abbandonano la loro identità statutaria e l’aspetto sotto cui li si riconosceva, lasciando apparire una tutt’altra verità. Ma ci fu anche un sogno politico della peste, che era esattamente l’inverso: non la festa collettiva, ma le divisioni rigorose; non le leggi trasgredite, ma la penetrazione, fin dentro ai più sottili dettagli della esistenza, del regolamento – e intermediario era una gerarchia completa garante del funzionamento capillare del potere; non le maschere messe e tolte, ma l’assegnazione a ciascuno del suo “vero” nome, del suo “vero” posto, del suo “vero” corpo, della sua “vera” malattia. La peste come forma, insieme reale e immaginaria, del disordine ha come correlativo medico e politico la disciplina. Dietro i dispositivi disciplinari si legge l’ossessione dei “contagi”, della peste, delle rivolte, dei crimini, del vagabondaggio, delle diserzioni, delle persone che appaiono e scompaiono, vivono e muoiono nel disordine.

Se è vero che la lebbra ha suscitato i rituali di esclusione, che hanno fornito fino ad un certo punto il modello e quasi la forma generale della grande Carcerazione, la peste ha suscitato gli schemi disciplinari. Piuttosto che la divisione massiccia e binaria tra gli uni e gli altri, essa richiama separazioni multiple, distribuzioni individualizzanti, un’organizzazione in profondità di sorveglianze e di controlli, un’intensificazione ed una ramificazione del potere. Il lebbroso è preso in una pratica del rigetto, dell’esilio-clausura; lo si lascia perdervisi come in una massa che poco importa differenziare; gli appestati vengono afferrati in un meticoloso incasellamento tattico, in cui le differenziazioni individuali sono gli effetti costrittivi di un potere che si moltiplica, si articola, si suddivide. La grande reclusione da una parte; il buon addestramento dall’altra. La lebbra e la sua separazione; la peste e le sue ripartizioni. L’una è marchiata; l’altra, analizzata e ripartita. Esiliare il lebbroso e arrestare la peste non comportano lo stesso sogno politico. L’uno è quello di una comunità pura, l’altro quello di una società disciplinata. Due maniere di esercitare il potere sugli uomini, di controllare i loro rapporti, di scogliere i loro pericolosi intrecci. La città appestata, tutta percorsa da gerarchie, sorveglianze, controlli, scritturazioni, la città immobilizzata nel funzionamento di un potere estensivo che preme in modo distinto su tutti i corpi individuali – è l’utopia della città perfettamente governata.

Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione

13/03/20

Stramonio


Caratteristiche della pianta

Lo Stramonio è una pianta che fa parte della Famiglia delle Solanacee, la stessa della patata, ma a differenza di questa è altamente tossico, al pari della Belladonna, anch’essa facente parte della stessa Famiglia. Il nome botanico dato da Linneo, Datura stramonium, deriva dal nome persiano tatula e da quello dato dagli arabi, tatorea, che in entrambi i casi alludono alle spine tipiche del frutto. Altra origine del nome Datura sembra essere quella della latinizzazione del nome sanscrito Dathura, Mentre il nome specifico di stramonio sembra sia stato preso in prestito dalla Datura metel, a cui ovviamente somiglia, e che nel 1500 circa era conosciuta come Stramonia.
La pianta dello Stramonio si presenta come una pianta erbacea annua, molto ramificata e con una altezza di circa un metro. Il fusto, verde e vuoto internamente, è eretto e ricoperto di caratteristici peli setosi e glutinosi.
Le foglie hanno una forma ovale – triangolare, con i margini decisamente incisi e con le tre lobature irregolari. La colorazione della pagina superiore risulta essere più scura rispetto a quella inferiore.
Quando sono giovani, le foglie sono pelose lungo le nervature, ma con l’invecchiare divengono glabre.
I fiori sono grandi, solitari, di colore bianco o violaceo, spesso striati. Il calice è tubuloso con cinque lobi, mentre la corolla, sempre tubulosa, presenta cinque lobi acuminati.
Il frutto è una tipica capsula ovoidale, deiscente a quattro valve (sezioni) e ricoperta di spine. La colorazione è verde intenso quando è immatura, mentre a maturazione diventa marrone-giallo.
All’interno sono contenuti numerosi semi reniformi neri e rugosi.

Coltivazione e origine

L’origine della pianta è piuttosto incerta in quanto molto diffusa in Europa sin dal tempo degli antichi greci. Pare però che il suo luogo di nascita sia l’Asia occidentale, tra l’India e il Mar Caspio.
Essendo una pianta rustica, piuttosto forte e resistente, visto i territori difficili in cui è nata, si è ben presto adattata e diffusa nei campi e terreni più soffici e ricchi dell’Europa.
Si coltiva senza particolari difficoltà. Cresce bene in posizione soleggiata su terreni di quasi tutti i tipi, ma meglio se è calcareo e sabbioso. Il terreno deve essere mantenuto libero dalle erbacce almeno nelle prime fasi e, se si vuole, si può concimare con del letame maturo.
Nonostante sia molto rustica e resistente, se l'estate è particolarmente calda e secca, abbisogna di qualche annaffiatura affinché non secchi.
Si può propagare molto bene per seme, i quali devono essere piantati a 90 centimetri l’uno dall’altro e ricoperti da un sottile strato di terreno soffice.
I semi vengono piantati a maggio in terreno all’aperto oppure in febbraio o marzo in semenzaio in una serra fredda. Quando le piantine sono abbastanza grandi possono essere trasferite in piccoli vasi, che però vogliono molta luce e aria fino a giugno, quando potranno essere piantate in campo aperto. Il trapianto riesce facilmente.

Parti utilizzate

La droga della pianta sono sia le foglie che le sommità fiorite. Possiamo considerare come tale anche i semi, sebbene questi vengono sfruttati molto raramente.

tecniche di raccolta

Essendo una pianta annuale, la raccolta della foglie può avvenire anche con mezzi meccanici che non tendono a preservare la pianta per l’anno successivo. Un secondo momento si provvederà a separare le foglie dalle restanti parti della pianta che non servono.
Per la raccolta dei semi, invece, bisogna procedere con precisione a mano, tagliando una ad una le capsule, prima che queste siano completamente mature, altrimenti si rischia di farle aprire nel maneggiarle, disperdendo il loro contenuto all’esterno.

Proprietà e uso nella storia

È una pianta conosciuta dagli antichi greci che la usavano come narcotizzante.
Stesso impiego lo facevano sia gli arabi che i cinesi.
La velenosità della Datura era ben conosciuta, ma questo non ha fermato il suo uso. L’azione narcotica e sedativa la rendeva ideale come rimedio contro le convulsioni di qualsiasi tipo e di qualsiasi causa, con risultati ben lontani dall’essere curativi.
Un altro potere sfruttato per lo più dai santoni dell’India, e successivamente anche dagli sciamani sulle Ande e del Centroamerica, è quello allucinogeno. Non ci volle molto che entrasse a far parte dei riti sacri e magici di tribù e religioni mistiche per poter predire il futuro o per entrare in contatto con gli spiriti dei propri antenati.
Purtroppo questo tipo di uso a volte è imitato da ragazzi che ignorano completamente il tipo di pianta e la sua velenosità e si preparato delle tisane per potersi sballare… il risultato però alquanto drammatico poiché possono andare incontro alla morte per avvelenamento molto facilmente.

descrizione dei principi attivi

I principi attivi della Datura sono una serie di potenti alcaloidi atropinici, la cui predominanza spetta alla josciamina e atropina. Anche se in percentuale dimezzata rispetto alla prima, è presente anche la ioscina.
Sono stati trovati anche prismi e sabbia microcristallina di ossalato di calcio, acido malico e atropico.
Nei semi si è estratto anche un olio essenziale non volatile nella percentuale variabile dal 15% al 30%.

Stramonio: Benefici e avvertenze

Antiasmatico

La proprietà anticonvulsiva è sfruttata in maniera mirata e calcolata, come antiasmatico. L’asma viene trattato con le foglie di Stramonio polverizzate, ma generalmente è preferita la somministrazione sotto forma di sigarette. Questa forma permette al fumo della Datura di andare direttamente ai polmoni ed esplicare meglio la propria azione calmante.
Sebbene non sia una pianta medicinale molto usata, il suo fitocomplesso può essere sfruttato per calmare anche le tossi spasmodiche, le epilessie e l’ansietà.

Omeopatia

Al contrario della fitoterapia, l’omeopatia la sfrutta molto di più. In questo tipo di medicina, la tintura madre di Stramonio ricopre il ruolo principale per la cura degli stati febbrili, deliri, convulsioni, nonché spasmi laringei.

Prodotti in commercio

In commercio non sono presenti prodotti erboristici con stramonio poiché vietati.
Possono essere rinvenuti preparati omeopatici, ma questi rientrano nella categoria dei farmaci vendibili in farmacia e sotto prescrizione medica. Oppure alcuni farmacisti particolarmente abili e volenterosi possono preparare nel loro laboratorio delle preparazione magistrali di sigarette, secondo le indicazioni che il medico pone in ricetta. Data la pericolosità nell’utilizzo dello stramonio, non si troverà facilmente, quasi impossibile, sia medici che farmacisti disposti nel prescriverla e preparala.

Controindicazioni

Dando per scontato la velenosità come controindicazione, aggiungiamo che è da evitare da coloro che sono soggetti ad affezioni cardiache.

Avvertenze

Pianta velenosa che solamente farmacisti e medici possono trattare.
L’uso dello stramonio può portare facilmente ad avvelenamento, i cui sintomi sono simili a quelli dati dalla Belladonna: dilatazione delle pupille, offuscamento della vista, capogiri, allucinazioni e delirio.
L’intossicazione può portare alla morte.

fonte: vecchiaerboristeria.it

Belladonna: proprietà, uso, controindicazioni


La Belladonna (Atropa belladonna) è una pianta della famiglia delle Solanaceae. È una delle erbe più usate in farmacologia e ha un’azione antispasmodica e broncodilatatrice. Scopriamola meglio.

Proprietà della belladonna

La belladonna è una delle piante più utilizzate in farmacologia, ma anche tra le più pericolose nella storia della medicina. Le foglie contengono alcaloidi a nucleo tropanico, fra cui i principali sono l'atropina e la scopolamina, che svolgono un'azione eccitante, allucinatoria la prima; depressiva e ipnotica la seconda.Gli effetti tossici degli alcaloidi sono secchezza alla gola, mancanza di secrezione lacrimale, mal di testa, tachicardia, extrasistole, fibrillazione, arresto della peristalsi, rash cutanei scarlattiformi, allucinazioni, disorientamento, delirio, coma e arresto del centro respiratorio. Dall'analisi dei principi attivi risulta che la pianta influenza in varia misura tutti gli organi e i sistemi la cui funzione si trova sotto il controllo del sistema nervoso parasimpatico.
La belladonna viene usata in medicina per ridurre la secrezione acida e della motilità gastrica, favorendo quindi i processi di cicatrizzazione dell’ulcera.La pianta infatti svolge un'azione antispasmodica e parasimpaticolitica, in quanto blocca i recettori colinergici e impedisce i legami di questi con l'acetilcolina, liberata dalle terminazioni delle fibre parasimpatiche e di quelle post-gangliari simpatiche, che vanno alle ghiandole sudoripare e ad alcuni vasi.Pertanto è indicata per ipercloridria, ulcera peptica, gastrite e bruciori di stomaco e nella sindrome dell'intestino irritabile, spasmi addominali. Inoltre la belladonna svolge un'azione broncodilatatrice, utile per migliorare la ventilazione polmonare in caso di eccessive secrezione bronchiale, in presenza di asma e bronchite. Infine la pianta aumenta il numero delle pulsazioni cardiache per cui viene usata nel trattamento di alcune brachicardie.

Modalità d'uso

In medicina allopatica l'atropina isolata viene ancora usata come dilatatore di pupille e come miorilassante p. e. prima di interventi chirurgici.

In Fitoterapia la belladonna è usata da tempo immemorabile dai medici per le sue doti spasmolitiche.

In Omeopatia la Belladonna viene utilizzata in ragione della similitudine dei sintomi, principalmente per le seguenti patologie:

-faringiti, rinofaringiti, tracheobronchiti e tonsilliti
-febbre durante l'influenza, convulsioni infantili da febbre elevata
-cefalea vasomotoria violenta, pulsante tipica del medicinale
-processi infiammatori locali con arrossamento, tumefazione, calore intenso, dolore acuto, violento e pulsante (rubor-tumor-calor-dolor)
-delirio, ipersensibilità al rumore e alla luce intensa.

Controindicazioni della belladonna

La belladonna è controindicata in caso di asma bronchiale, bradicardia e glaucoma, perché può interagire con i farmaci utilizzati solitamente in questi casi. Inoltre, la belladonna potrebbe interagire con gli antidepressivi, gli antispastici e gli antistaminici. In caso di sovradosaggio si possono verificare alcuni effetti collaterali, come: perdita del controllo psicomotorio, disordini mentali e allucinazioni.

Descrizione della pianta

Pianta erbacea perenne, rizomatosa raggiunge 1 m. di altezza. Il fusto è semplice, eretto e robusto, e ramoso all'apice. Le foglie sono picciolate, a margine intero, ovato-ellittiche, lunghe fino a 15 cm, e ricoperte, come il fusto, di una peluria responsabile dell’odore sgradevole emanato dalla pianta. I fiori ascellari sono isolati e pendenti, di colore viola scuro. Il frutto è una bacca nera con molti semi.

Habitat della belladonna

Cresce fra cespugli e nelle radure dei boschi di latifoglie e nelle zone montane e submontane dell’Europa centrale, Africa settentrionale ed Asia occidentale. In Italia la si può trovare nei boschi delle Alpi e degli Appennini.

Cenni storici sulla belladonna

"Mangiandosi il suo frutto fa diventare gli uomini come pazzi e furiosi, simili agli spiritati, alle volte ammazza facendo dormire fino alla morte. (P. A. Mattioli) I sintomi sono contenuti in una vecchia filastrocca inglese, che recita: “caldo come una lepre (febbre), cieco come un pipistrello (dilatazione pupillare e inibizione dell’accomodazione), secco come un osso (blocco di salivazione e sudorazione), rosso come una barbabietola (congestione di volto e collo), matto come una gallina" (allucinazioni, eccitazione)La pianta infatti venne chiamata Atropa, nome della parca greca a cui era stato affidato il compito di stabilire la durata delle vite degli uomini, e porre fine alle loro esistenze, tagliandone il filo. Il nome Belladonna deriva dal gergo popolare veneziano del 1500, in allusione al fatto che il succo delle sue bacche, veniva usato come cosmetico dalle donne, per la cura della pelle e per fare risplendere gli occhi. I frequenti avvelenamenti per ingestione delle bacche, indussero i farmacologi del '700 a sperimentare le azioni da essa esercitate. Il primo a studiarne l'effetto prodotto sugli organi fu Berna Albrecht von Haller che dopo aver analizzato glin organi notò come conseguenza patologie a carico del sistema gastroenterico e delle terminazioni nervose, ma non esitò a proporla come rimedio nel Parkinson, seppure a piccole dosi.La spiegazione di questi effetti giunse verso la metà dell'800, quando fu isolata l'alcaloide atropina dalla belladonna.

di Alessandra Romeo

fonte: cure-naturali.it

08/03/20

Robert Frost, Mountain Interval, La strada che non presi


Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.

Poi presi l'altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l'aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata;
Sebbene il passaggio le avesse rese
quasi simili

ed entrambe quella mattina erano lì uguali
con foglie che nessun passo aveva annerito.
Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un'altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io -
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.

Robert Frost, Mountain Interval, La strada che non presi

06/03/20

Carl Gustav Jung, Libro Rosso


Tu non devi intervenire sull’Altro, ma su di te, a meno che l’Altro richieda il tuo aiuto o la tua opinione.
Comprendi tu quello che l’Altro fa? Mai… D’altronde come potresti? E un altro comprende ciò che fai tu? Da dove viene il diritto di avere opinioni sugli altri o di agire su di loro?
Tu hai trascurato te stesso, il tuo giardino è pieno di erbacce, e tu vuoi insegnare al tuo vicino l’ordine e fargli notare i suoi difetti! Perché hai da tacere sugli altri? Perché ci sarebbe molto da dire sui tuoi propri demoni.
Ma se tu hai opinioni sull’Altro e agisci senza che lui abbia chiesto la tua opinione o il tuo consiglio, lo fai perché non riesci a distinguere te stesso dalla tua anima.
Tu stesso hai bisogno del tuo aiuto; devi tenere pronti per te stesso opinioni e buoni consigli anziché correre dagli altri a offrire comprensione e a voler dare aiuto. Che cosa sono dei demoni che non agiscono per conto loro?
Perciò lasciali agire, ma non attraverso di te, altrimenti tu stesso sarai un demone per gli altri.
Lasciali a loro stessi, e non volerteli accaparrare con amore maldestro, apprensione, prudenza, consigli e altre presunzioni. Altrimenti faresti il lavoro dei demoni, saresti tu stesso un demone e finiresti nella pazzia.
I demoni però gioiscono della pazzia degli uomini indifesi che vogliono consigliare e aiutare gli altri.
Perciò taci, e compi in te stesso l’opera di redenzione; allora i demoni dovranno tormentare se stessi, così come tutti i tuoi simili, che non distinguono se stessi dalla propria anima e si lasciano perciò ingannare dai demoni.
È crudele abbandonare a se stesso il proprio simile accecato? Sarebbe crudele se tu potessi aprirgli gli occhi.
Ma tu potresti aprirgli gli occhi soltanto se lui ti richiedesse la tua opinione e il tuo aiuto. Se però non richiede il tuo aiuto, allora non ne ha bisogno. Se tu, malgrado questo, imponi a lui la tua opinione, allora per lui tu sei un demone e aumenti il suo accecamento, poiché gli dai un cattivo esempio.

Carl Gustav Jung, Libro Rosso