24/02/20

Semi di frutta e verdura liberi da copyright: la battaglia di Alice contro le multinazionali


Sul lago di Como una contadina-attivista ha dichiarato guerra a Monsanto & Co. Facendo crescere nel suo campo varietà vegetali senza brevetti proprietari. Che però, per legge, non può vendere a nessuno

Asso, antico borgo della Vallassina tra i due rami del lago di Como. Le colline scendono fra castagni e cinghiali fino al paese. Alice Pasin ha costruito la sua base sul fronte del bosco. Si è trasferita qui nel 2012. Con il compagno e i figli ha strappato i rovi e fatto spazio a un orto circondato da meli, malva e cespugli di ortiche («sono fondamentali per il terreno»). Alice vi si dedica ogni giorno con una missione politica, più che agraria: riprodurre semi di frutta e verdura liberi da copyright.

I brevetti sono diventati prassi in agricoltura. Negli uffici internazionali sono registrate proprietà per “patate mediamente dense”, broccoletti “dalle cime staccate”, cipolle che fanno piangere meno, cavolfiori “molto bianchi”. Tecnologie della vita: la multinazionale Dupont, ad esempio, ne detiene circa 400 modelli. Monsanto ha 100 esclusive solo alla voce mais. I dossier sono corposi: indicano nel dettaglio i millimetri di uno stelo, gli identikit di resa ottenuta grazie all’ibridazione, naturale o genetica, mostrano la specifica tonalità di viola oggetto d’esercizio economico su una carota. Per quanto ingegnerizzata, infatti, la natura varia. E brevettarla è un mestiere difficile, ma redditizio.

Negli Stati Uniti a partire dagli anni ’80 le aziende possono depositare brevetti commerciali sui semi, anche non Ogm. In Europa l’orientamento è diverso: per vendere una varietà è necessario registrarla, ma questo non vieta ai contadini di farne uso per migliorare la specie. Ma è una libertà a metà. L’Ufficio brevetti europeo infatti accetta dal 2013 domande su semi naturali. Contro questa direzione si è più volte espresso il Parlamento, da ultimo il 19 settembre con una mozione che ribadisce: «Le varietà vegetali e animali, i procedimenti essenzialmente biologici e i loro prodotti, non sono in alcun modo brevettabili». La corsa al controllo però continua. E fra Bruxelles e le multinazionali biotech si stendono campi dove la partita, su alcune produzioni agro-industriali, sembra già decisa.

Di fianco alle arnie, Alice Pasin ha un armadio pieno di scatole. Conservano il frutto della sua militanza agro-politica. Sono 250 varietà più o meno rare: piccoli fagioli occhiuti, scomodi da coltivare ma antichi; mini-cetriolini che si mangiano con la buccia; pomodori gialli molto amati da sua figlia; banane di montagna, cicoria di un contadino che si chiama Ecclesio. Sembra un menu elitista invece è un terreno di conflitto: gli esperti le chiamano coltivazioni orfane perché sono destinate a soccombere al mercato, quindi ad esser dimenticate per mancanza di valore commerciale. La loro cura, riproduzione e vendita, si muove su un confine informale fra il legale, il lecito, il permesso.

Le prime due varietà di grano duro coltivate in Italia, mostrano i dati del Crea (Consiglio per le ricerche in agricoltura del ministero), coprono da sole il 20 per cento della produzione totale. Si chiamano “Iride” e “Saragolla”. Sono proprietà di Syngenta, un colosso sementiero con sede in Svizzera, acquistato alla fine del 2017 da ChemChina per 43 miliardi di dollari. Si tratta della maggiore acquisizione internazionale di sempre da parte di una società cinese. ChemChina è un’azienda di Stato; l’operazione venne presentata come una manovra per garantire la sicurezza alimentare futura della classe media in Cina. Attraverso lo sviluppo e il controllo della fonte primaria: i semi.

Ancora. I primi nove tipi di mais coltivati nelle campagne italiane sono tutti figli della stessa società: marca Pioneer, ovvero Dupont/Corteva, una delle maggiori produttrici globali di semi. Sede nel Delaware, paradiso fiscale degli Stati Uniti, uffici in tutto il mondo. Sono suoi i P1758, P1921, PR31Y43, P1547, P2088, PR32B10, P1114, P1535 piantati e fatti crescere dagli agricoltori italiani. La decima tipologia è “Sy Inove”. ChemChina. Chissà se la Lega rivendicherà ancora il patriottismo della polenta, alla luce di questi dati.

Il 60 per cento delle vendite globali di semi, mostra una mappa aggiornata al 2019 da Philip Howard, università del Michigan, è controllato oggi dalle prime quattro multinazionali dell’agro-chimica: Corteva, ChemChina, Bayer e BASF. Certo mais, soia, grano e girasole sono i settori dove la privatizzazione è più stretta e feroce. In Italia il riso che viene allagato in pianura resta per esempio risultato di piccole o medie aziende. E anche fra gli ortaggi gli interessi sembrano meno chiusi.

Nonostante questo, in Europa le “grandi quattro” detengono i diritti del 72 per cento dei semi di pomodoro coltivati, del 94 per cento delle varietà di cetrioli, del 95 per cento per i tipi di carota. Lo mostra un rapporto Ocse sulla concentrazione nel mercato dei semi pubblicato l’anno scorso, segnalato dal Crea. Il dossier nasce dalla preoccupazione delle agenzie antitrust di fronte alla fusione fra Bayer e Monsanto, completata ufficialmente nel 2018 per 63 miliardi di dollari. Farmaci, diserbanti e radici marciano da allora compatti.

Coltivare semi richiede tempo. Alice Pasin raccoglie le prime due buttate di asparagi, la terza servirà alla riproduzione. Ogni primavera alterna le cipolle, per evitare incroci; aspetta due anni per i nuovi germogli. Perché fiorisca l’insalata bisogna lasciare diventi secca e flebile, uno stelo ruvido. Le zucchine arrivano quasi a esplodere. È un giardino di forme fradicie e gonfie. Sul davanzale di casa ha due bicchierini con dentro semi di pomodoro che stanno fermentando. Serve a renderli più resistenti. «La natura chiede tempo: i semi maturerebbero all’interno del frutto marcio, caduto per terra. La muffa contiene penicillina», racconta: «Per far riprodurre le piante serve cura. Ogni ortaggio o cereale, da oltre 10 mila anni, è risultato di un intervento umano. Molte piante senza questo processo sarebbero già scomparse. Vanno scelti solo i frutti più forti, sviluppati i migliori. La selezione è fondamentale».

La selezione. Per secoli i semi non sono stati una merce: i contadini dipendevano dalla loro capacità di far riprodurre le proprie piante. Compravano germogli solo raramente, scambiavano piantine nei consorzi, miglioravano i risultati adattandosi allo specifico del loro territorio. Da metà del ’900, con lo sviluppo di sementi ibride prima (il paragone classico in campo animale è il mulo) e delle modifiche genetiche ai nuclei poi, i semi sono diventati un mercato sempre più interessante sul piano commerciale. Il business supera, secondo le stime dell’Ocse, i 52 miliardi di dollari. Proteggere brevetti significa proteggere fatturato. Il primo copyright di un seme Ogm è del 1994. Era un pomodoro. Oggi gli Ogm valgono da soli più di 21 miliardi di dollari l’anno. Gli investimenti privati in ricerca e sviluppo sono aumentati così esponenzialmente, portando anche innovazioni positive. Le nuove varietà hanno rendimenti più alti, efficienza nelle risorse idriche e nell’uso del territorio. La privatizzazione però ha portato anche all’accentramento di potere nelle nostre vite: quello che mangiamo è deciso in larga parte da quattro amministratori delegati.

I monopoli, notano le voci critiche riportate nel dossier, minacciano non solo la sostenibilità della produzione (possono controllare prezzo, standard e proposte). Ma costituiscono anche uno squilibrio dei sistemi agricoli: riducono la biodiversità generale, rischiando di rendere fragili intere filiere. La paura è per l’effetto domino di fronte a un nuovo parassita. Non solo. Queste big companies forniscono ai contadini kit di crescita all-inclusive: dal seme al concime, al trattamento anti-parassiti. Sono dosi monouso, visto che le piante cresciute da semi ibridi possono figliare, sì, ma perdono subito le caratteristiche sviluppate in laboratorio.

Per restare sul mercato gli agricoltori devono rifornirsi così ogni volta alla multinazionale. In regime di dipendenza. Sollevati dalle incertezze, certo, ma anche spossessati da scelte e sapere sul loro mestiere. Fra le grandi aziende la parola chiave ora è agricoltura digitale: usare i big data per permettere coltivazioni di precisione. Monsanto ha comprato già nel 2012 “The Climate Corporation”, una startup della Silicon Valley specializzata in previsioni meteo. L’idea è sviluppare algoritmi capaci di indicare pratiche e prodotti dettagliati al singolo appezzamento, incrociando l’attività di milioni di contadini, la meteorologia e i macchinari.

In mezzo all’orto, Alice ha uno spiazzo confuso dove crescono sovrapposte una pianta peruviana, alcuni ortaggi, un albero da frutto. «Il mio compito come attivista non è solo riprodurre semi che servono alla coltivazione. Ma anche studiarli. Perché di molte varietà abbiamo perso ogni conoscenza: quando vanno raccolti i frutti, come conservarli, come cucinarli». Si chiama erosione genetica: gli standard di mercato fanno deperire dna e tradizioni di colture alternative.

Alice Pasin fa parte di “Civiltà contadina”, un’associazione per la difesa della biodiversità agricola; è dentro “Rete semi rurali”, un’organizzazione che sostiene l’arca delle varietà antiche e organizza giornate di scambio/baratto; collabora con realtà come “Zona Franca”, a Varese, dove le farine prodotte da semi liberi vengono usate per i piatti; tiene corsi per istituzioni locali e nazionali; scrive. Si ingegna, perché i semi lei non li può vendere: non sono registrati. Può riprodurli, ma non commerciarli. «Nel nostro network ci sono appassionati che hanno collezioni anche di duemila varietà di pomodori. Ma sono solo collezioni, appunto».

È un settore informale, eppure necessario. Per conservare la diversità agricola sono state costruite nel tempo gigantesche banche dei semi, come i caveaux raffreddati nel ghiaccio alle isole Svalbard, in Norvegia. Un deposito che mantiene migliaia di specie, salutato come un santuario della sopravvivenza e della sovranità alimentare dei paesi che donano le loro specie. Avrà bisogno di 850 milioni di dollari per continuare la propria missione. Le linee guida dell’Istituto nazionale di Economia agraria hanno un’altra prospettiva. Indicano la «possibilità che siano proprio gli agricoltori, nei loro campi, a svolgere questa importante funzione di conservatori della diversità». «Io non sopporto che il nostro mondo sia così di nicchia», commenta Alice risalendo verso casa: «Anche perché c’è un paradosso di fondo: il cibo biologico tanto di moda è frutto di semi non bio».

È vero. «Non c’è disponibilità di semi biologiche, se non per poche specie come l’erba medica o il trifoglio alessandrino», spiega Piergiacomo Bianchi, esperto di certificazione al Crea, dove a metà settembre ha ospitato una giornata di studi sul tema. «Oggi sul nostro database ci sono solo 934 varietà disponibili registrate», racconta Bianchi: «E 33 mila richieste di agricoltori di poter coltivare biologicamente in deroga, non essendoci alternative. Riguardano soprattutto viti, pomodoro, mais, frumento, olive, patate». Un progetto finanziato da Europa e Svizzera mira a finanziare ricerche per avere semi 100 per cento biologici entro il 2037.

Più che alla burocrazia bio e ai mancati fondi, ora Alice deve pensare però al cinghiale che minaccia il suo orto. «Dopo anni di vegetarianesimo, sono diventata amica dei cacciatori della zona. Ho speso duemila euro per mettere la recinzione ma non basta: guarda, un’altra traccia. Mi hanno mangiato tutte le patate...». La coesistenza in natura è un confine mobile.

DI Francesca Sironi, foto di Alberto Gottardo

fonte: espresso.repubblica.it

23/02/20

Fiori eduli, elenco e proprietà


Fiori buoni per davvero: in cucina sono numerose le varietà di piante che per aroma e proprietà per la salute sono indicate nella dieta e perfette per dare sapore ai piatti. Scopriamo qui l'ibisco, i denti di leone, la lavanda e il nasturzio.
i centrotavola floreali sul tavolo da pranzo sono una tradizione classica e senza tempo, ma talvolta anche i fiori possono apparire sulle vostre tavole imbandite come pietanza. I fiori commestibili sono usati in molti stili diversi di cucina e possono essere trovati nei menu di tutto il mondo.

Caratteristiche dei fiori eduli

I fiori eduli migliorano l'aspetto, il gusto e il valore estetico del cibo, aspetti che i consumatori apprezzano, giustificando la crescente tendenza delle vendite di fiori freschi di alta qualità in tutto il mondo. Tuttavia, i consumatori richiedono anche alimenti con proprietà benefiche sulla salute, oltre ai nutrienti in essi contenuti, alla ricerca di qualità funzionali come proprietà antiossidanti e antimicrobiche.

L'ibisco fiore commestibile

Le piante di ibisco producono grandi fiori ornati che di solito crescono nei climi tropicali e subtropicali di tutto il mondo. Esistono centinaia di specie di ibisco, ma la varietà commestibile più popolare è conosciuta come rosella o Hibiscus sabdariffa.
I fiori di ibisco possono crescere fino a 15 cm di diametro e si trovano in una vasta gamma di colori, tra cui rosso, bianco, giallo e varie tonalità di rosa. Sebbene venga coltivato per scopi strettamente ornamentali,
l'bisco è anche noto per le sue applicazioni culinarie e medicinali. E’ possibile mangiare il fiore direttamente dalla pianta, ma l’uso più comune è per il tè, condimenti, marmellate o insalate. Molte culture bevono il tè all'ibisco per le sue proprietà medicinali. Alcuni studi indicano che l'bisco può aiutare a ridurre la pressione sanguigna e i livelli di colesterolo, anche se sono necessarie ulteriori ricerche per capire meglio come l'ibisco possa supportare la salute del cuore.

I denti di leone fiori commestibili

I denti di leone hanno piccoli fiori - circa 2, 4 cm di diametro - con molti piccoli petali giallo brillante. Forniscono vari composti vegetali noti per avere potenti proprietà antiossidanti. È interessante notare che i fiori non sono l'unica parte del dente di leone che può essere mangiata. In effetti, ogni parte di questa cosiddetta erba può essere assaporata - comprese le sue radici, steli e foglie. Ci sono infinite opzioni per mangiare il dente di leone: i fiori possono essere consumati crudi, da soli o all’interno di un'insalata. Possono essere impanati e fritti o usati per produrre gelatina e vino. Le radici sono spesso impregnate per preparare il tè, mentre le verdure possono essere consumate crude come insalata o come topping per sandwich. Possono anche essere cotti in stufati, casseruole o qualsiasi altro piatto che richieda verdure abbondanti.

La lavanda fiore commestibile

La lavanda è un'erba legnosa e floreale originariamente coltivata in alcune parti dell'Africa settentrionale e del Mediterraneo. I fiori viola sono molto piccoli ma abbondanti. La lavanda è probabilmente meglio conosciuta per la sua fragranza distintiva, che è acclamata per i suoi effetti calmanti. La combinazione di colore e aroma rende la lavanda un'aggiunta particolarmente desiderabile a una varietà di alimenti, tra cui prodotti da forno, sciroppi infusi, liquori, tisane, sfregamenti di spezie secche e miscele di erbe. Il suo sapore si abbina bene con ingredienti sia dolci che salati, tra cui agrumi, frutti di bosco, rosmarino, salvia, timo e cioccolato.

Il nasturzio fiore commestibile

Il nasturzio è un fiore edibile molto utilizzato in ambito culinario a causa dei suoi fiori dai colori vivaci e dal sapore unico e sapido. Sia le foglie che i fiori di nasturzio sono commestibili e possono essere gustati cotti o crudi. Presentano un profilo aromatico pepato e leggermente speziato, sebbene i fiori stessi abbiano un sapore più mitigato rispetto alle foglie. I fiori a forma di imbuto sono in genere arancio brillante, rosso o giallo. Costituiscono un piacevole contorno per torte, pasticcini e insalate. Il nasturzio non è solo un ingrediente versatile e accattivante, ma anche nutriente - contenente una varietà di minerali e composti salutari con effetti antiossidanti e antinfiammatori.

di Francesca Castiglioni

fronte:cure-naturali.it

21/02/20

Il digiuno


Tutti i popoli del mondo, tutte le grandi tradizioni spirituali, hanno promosso pratiche di digiuno, per ragioni religiose, devozionali, salutistiche, disintossicanti, e per aumentare l’acume intellettuale. Anche la medicina, prima del trionfo dei farmaci per ogni disturbo, ha utilizzato il digiuno come terapia.

Il nostro organismo è progettato per sopportare tempi anche lunghi di digiuno, che sono stati spesso necessari, nella storia dell’umanità, per superare periodi di mancanza di cibo mantenendo una mente vigile per procurarselo.
Le nostre cellule vivono normalmente bruciando glucosio per produrre l’energia necessaria alle loro funzioni. A riposo l’organo che consuma più glucosio è il cervello. Nei primi due giorni di digiuno l’organismo consuma tutte le sue riserve di glucosio, poi comincia a consumare i suoi grassi. In questa fase si producono corpi chetonici, sostanze simili all’acetone che costituiscono un ottimo nutrimento per le cellule nervose e un discreto nutrimento per cuore e muscoli. Non viene a mancare quindi l’energia necessaria a mantenere viva la nostra mente, anche per consentirle di trovare cibo.

Praticando il digiuno si attiva un programma di sopravvivenza delle cellule, detto autofagia, letteralmente ‘mangiare se stessi’, per cui le cellule sopravvivono consumando tutto quello che al loro interno non è indispensabile per la sopravvivenza: organelli intracellulari mal funzionanti o non essenziali e depositi di proteine mutate e altro materiale di scarto che ostacola il buon funzionamento delle cellule. Si ipotizza che l’autofagia protegga dalle malattie neurodegenerative, come la demenza di Alzheimer o il morbo di Parkinson, caratterizzate da depositi di proteine anomale nel sistema nervoso. Nel digiuno, inoltre, le cellule, per risparmiare energia, rallentano la proliferazione cellulare, ostacolando la crescita di eventuali cellule tumorali.
Studi clinici hanno dimostrato che è utile praticare brevi digiuni, come saltare la cena o trascorrere un intero giorno senza mangiare, e saltuariamente si possono fare digiuni più prolungati, di una settimana o due, astenendosi da tutti i cibi calorici, ma bevendo abbondantemente acqua, tè, tisane. Dopo i primi giorni, che possono essere difficili, si sperimenterà un gradevole senso di leggerezza. L’agopuntura su alcuni punti chiave aiuta a superare eventuali malesseri dei primi giorni. Quando si riprende a mangiare dopo lunghi periodi di digiuno è bene iniziare con solo brodi di verdure senza sale nelle prime 24 ore, e con piccole porzioni di cibi molto delicati nel secondo giorno.

di Franco Berrino

fonte: lagrandevia.it

19/02/20

Ernst Jünger, Trattato del ribelle



L'essere umano è ridotto al punto che da lui si pretendono le pezze d'appoggio destinate a mandarlo in rovina. E oggi bastano delle inezie a decidere la sua rovina. (p. 11)
Nel clima della tirannide, l'umorismo, come tutte le altre manifestazioni che accompagnano la libertà, viene meno. Tanto più sarà caustica la battuta di colui che per essa è disposto a rischiare la pelle. (p. 22)
Se le grandi masse fossero così trasparenti, così compatte fin nei singoli atomi come sostiene la propaganda dello Stato, basterebbero tanti poliziotti quanti sono i cani che servono ad un pastore per le sue greggi. Ma le cose stanno diversamente, poiché tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos'è la libertà. E non soltanto questi lupi sono forti in sé stessi, c'è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in un branco. È questo l'incubo dei potenti. (p. 33)
L'inevitabile assedio dell'essere umano è pronto da tempo, e a disporlo sono teorie che tendono a una spiegazione logica e completa del mondo, e avanzano di pari passo con il progredire della tecnica. L'accerchiamento del nemico è prima razionale, poi anche sociale, e infine, al momento opportuno, lui, il nemico, viene sterminato. Non vi è destino più disperato che essere catturati in questa spirale, dove il diritto viene usato come arma. (pp. 36-37)
In fondo tirannide e libertà non possono essere considerate separatamente, anche se dal punto di vista temporale l'una succede all'altra. È giusto dire che la tirannide rimuove e annienta la libertà – anche se non si deve dimenticare che la tirannide è possibile soltanto se la libertà è stata addomesticata e ormai ridotta a vuoto concetto. (p. 40)
Chiamiamo invece Ribelle chi nel corso degli eventi si è ritrovato isolato, senza patria, per vedersi infine consegnato all'annientamento. Ma questo potrebbe essere il destino di molti, forse di tutti – perciò dobbiamo aggiungere qualcosa alla definizione: il Ribelle è deciso ad opporre resistenza, il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata. Ribelle è dunque colui che ha un profondo, nativo rapporto con la libertà, il che si esprime oggi nell'intenzione di contrapporsi all'automatismo e nel rifiuto di trarne la conseguenza etica, che è il fatalismo. (pp. 41-42)
Di volta in volta possono cambiare gli argomenti, ma la stupidità terrà il suo tribunale in eterno. Veniamo condannati, prima per aver oltraggiato gli dèi, poi per non esserci piegati a un dogma, e poi ancora per aver rinnegato una teoria. Non esistono parola o pensiero, nel cui nome non sia già stato versato del sangue. Socratica è la consapevolezza della nullità di ogni giudizio in un senso più elevato di quanto possano stabilirlo il pro e il contro degli uomini. Il vero giudizio è pronunciato sin dall'inizio: esso mira a esaltare la vittima. (p. 78)
L'umana grandezza va conquistata lottando. Essa trionfa quando respinge nel cuore dell'uomo l'assalto dell'abiezione. Qui è racchiusa la sostanza della storia. Nell'incontro dell'uomo con se stesso, o meglio con la propria divina potenza. Chi vuole insegnare la storia deve saperlo. Socrate chiamava il suo demone questo luogo segreto da dove una voce, che era già al di là delle parole, lo consigliava e lo guidava. Potremmo chiamarlo anche il bosco. (p. 79)
Il motto del Ribelle è: "Hic et nunc" – essendo il Ribelle uomo d'azione, azione libera ed indipendente. Abbiamo constatato che questa tipologia può comprendere solo una frazione delle masse, e tuttavia è qui che si forma la piccola èlite capace di resistere all'automatismo e di far fallire l'esercizio della forza bruta. È l'antica libertà in veste moderna: la libertà sostanziale, elementare, che si ridesta nei popoli sani ogniqualvolta la tirannide dei partiti o dei conquistatori stranieri opprime il paese. Non è una libertà che si limita a protestare o emigrare: è una libertà decisa alla lotta. (pp. 93-94)
Quando tutte le istituzioni divengono equivoche o addirittura sospette, e persino nelle chiese si sente pregare ad alta voce non per i perseguitati bensì per i persecutori, la responsabilità morale passa nelle mani del singolo, o meglio del singolo che ancora non si è piegato. (p. 114)
Il Ribelle è il singolo, l'uomo concreto che agisce nel caso concreto. Per sapere che cosa sia giusto, non gli servono teorie, né leggi escogitate da qualche giurista di partito. Il Ribelle attinge alle fonti della moralità ancora non disperse nei canali delle istituzioni. Qui, purché in lui sopravviva qualche purezza, tutto diventa più semplice. (p. 114)

Ernst Jünger, Trattato del ribelle

16/02/20

Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio


Fa' così, caro Lucilio: renditi veramente padrone di te e custodisci con ogni cura quel tempo che finora ti era portato via, o ti sfuggiva. Persuaditi che le cose stanno come io ti scrivo: alcune ore ci vengono sottratte da vane occupazioni, altre ci scappano quasi di mano; ma la perdita per noi più vergognosa è quella che avviene per nostra negligenza. Se badi bene, una gran parte della vita ci sfugge nel fare il male, la maggior parte nel non fare nulla, tutta quanta nel fare altro da quello che dovremmo. Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo e alla sua giornata, e che si renda conto com'egli muoia giorno per giorno?

In questo c'inganniamo, nel vedere la morte avanti a noi, come un avvenimento futuro, mentre gran parte di essa è già alle nostre spalle. Ogni ora del"nostro passato appartiene al dominio della morte. Dunque, caro Lucilio, fa' ciò che mi scrivi; fa' tesoro di tutto il tempo che hai. Sarai meno schiavo del domani, se ti sarai reso padrone dell'oggi. Mentre rinviamo i nostri impegni, la vita passa. Tutto, o Lucilio, dipende dagli altri; solo il tempo è nostro. Abbiamo avuto dalla natura il possesso di questo solo bene sommamente fuggevole, ma ce lo lasciamo togliere dal primo venuto.

E l'uomo è tanto stolto che, quando acquista beni di nessun valore, e in ogni caso compensabili, accetta che gli vengano messi in conto; ma nessuno, che abbia cagionato perdita di tempo agli altri, pensa di essere debitore di qualcosa, mentre è questo l'unico bene che l'uomo non può restituire, neppure con tutta la sua buona volontà. Mi domanderai forse come mi comporti io che ti do questi consigli. Te lo dirò francamente: il mio caso è quello di un uomo che spende con liberalità, ma tiene in ordine la sua amministrazione; anch'io tengo i conti esatti della spesa. Non posso dire che nulla vada perduto, ma sono in grado di dire quanto tempo perdo, perché e come lo perdo; posso cioè spiegare i motivi della mia povertà.

Capita anche a me, come alla maggior parte della gente caduta in miseria senza sua colpa: tutti sono disposti a scusare, ma nessuno viene in aiuto. E che dunque? Per me non è povero del tutto colui che, per quanto poco gli resti, se lo fa bastare. Ma tu, fin d'ora, serba gelosamente tutto quello che possiedi; e avrai cominciato a buon punto, poiché - ci ammoniscono i nostri vecchi - «è troppo tardi per risparmiare il vino, quando si è giunti alla feccia». Nel fondo del vaso resta non solo la parte più scarsa, ma anche la peggiore. Addio.

Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, I secolo d.C.

09/02/20

Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena


Ciascuno fuggirà, sopporterà, oppure amerà la solitudine, in una proporzione esatta con il valore della sua personalità. Nella solitudine infatti il miserabile sente tutta quanta la sua miseria e il grande spirito tutta la sua grandezza, ciascuno in breve sente di essere ciò che è. [...]


L'uomo ricco di spiritualità aspirerà anzitutto all'assenza di dolore, all'essere lasciato in pace, alla calma e all'ozio, cercherà dunque una vita tranquilla, modesta, ma quanto più e possibile indisturbata, e in conformità a ciò, dopo di aver conosciuto per qualche tempo i cosiddetti uomini, sceglierà la vita ritirata, e nel caso che si tratti di un grande spirito addirittura la solitudine. [...]

La vera e profonda pace del cuore e la perfetta tranquillità d'animo, che costituiscono subito dopo la salute il più grande bene terreno, si troveranno soltanto nella solitudine, e come stato d'animo duraturo solo nel più profondo isolamento. Se in tal caso la propria individualità è grande e ricca, si godrà dello stato più felice che possa venir ritrovato su questa povera terra.

Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851

05/02/20

Emil Cioran, Sommario di decomposizione

La teologia, la morale, la storia e l’esperienza di tutti i giorni insegnano che, per raggiungere l’equilibrio, non c’è un’infinità di segreti – ce n’è uno solo: sottomettersi. «Accettate un giogo» esse ci ripetono «e sarete felici; siate qualche cosa e verrete liberati dalle vostre pene». In effetti, tutto è mestiere quaggiù: professionisti del tempo, funzionari del respiro, dignitari della speranza, un lavoro ci attende ancor prima della nascita: le nostre carriere si preparano nel grembo delle nostre madri. Membri di un universo ufficiale, dobbiamo occuparvi un posto, in virtù di un destino rigido, che non si allenta se non in favore dei folli; essi, almeno, non sono costretti ad avere una fede, ad aderire a un’istituzione, a sostenere un’idea, a seguire un’iniziativa. Da quando la società si è costituita, coloro che hanno voluto sottrarvisi sono stati perseguitati o scherniti. Vi si perdona tutto, purché abbiate un mestiere, una qualifica sotto il vostro nome, un sigillo sul vostro nulla. Nessuno ha l’audacia di esclamare: «Io non voglio fare niente!» – si è più indulgenti con un assassino che con uno spirito affrancato dagli atti. Moltiplicare le possibilità di sottomissione, rinunciare alla propria libertà, uccidere in sé il vagabondo: così l’uomo ha raffinato la propria schiavitù e si è infeudato ai fantasmi.

Emil Cioran, Sommario di decomposizione