Che
paese meraviglioso era l'Italia durante il periodo del fascismo e
subito dopo! La vita era come la si era conosciuta da bambini, e per
venti trent'anni non è più cambiata: non dico i suoi valori — che sono
una parola troppo alta e ideologica per quello che voglio semplicemente
dire — ma le apparenze parevano dotate del dono dell'eternità: si poteva
appassionatamente credere nella rivolta o nella rivoluzione, che tanto
quella meravigliosa cosa che era la forma della vita, non sarebbe
cambiata. Ci si poteva sentire eroi del mutamento e della novità, perché
a dare coraggio e forza era la certezza che le città e gli uomini, nel
loro aspetto profondo e bello, non sarebbero mai mutati: sarebbero
giustamente migliorate soltanto le loro condizioni economiche e
culturali, che non sono niente rispetto alla verità preesistente che
regola meravigliosamente immutabile i gesti, gli sguardi, gli
atteggiamenti del corpo di un uomo o di un ragazzo. Le città finivano
con grandi viali, circondati da case, villette o palazzoni popolari dai
«cari terribili colori» nella campagna folta: subito dopo i capolinea
dei tram o degli autobus cominciavano le distese di grano, i canali con
le file dei pioppi o dei sambuchi, o le inutili meravigliose macchie di
gaggie e more. I paesi avevano ancora la loro forma intatta, o sui
pianori verdi, o sui cucuzzoli delle antiche colline, o di qua e di là
dei piccoli fiumi.
La gente indossava vestiti rozzi e poveri (non
importava che i calzoni fossero rattoppati, bastava che fossero puliti e
stirati); i ragazzi erano tenuti in disparte dagli adulti, che
provavano davanti a loro quasi un senso di vergogna per la loro
svergognata virilità nascente, benché così piena di pudore e di dignità,
con quei casti calzoni dalle saccocce profonde; e i ragazzi, obbedendo
alla tacita regola che li voleva ignorati, tacevano in disparte, ma nel
loro silenzio c'era una intensità e una umile volontà di vita (altro non
volevano che prendere il posto dei loro padri, con pazienza), un tale
splendore di occhi, una tale purezza in tutto il loro essere, una tale
grazia nella loro sensualità, che finivano col costituire un mondo
dentro il mondo, per chi sapesse vederlo. È vero che le donne erano
ingiustamente tenute in disparte dalla vita, e non solo da giovinette.
Ma erano tenute in disparte, ingiustamente, anche loro, come i ragazzi e
i poveri. Era la loro grazia e la loro umile volontà di attenersi a un
ideale antico e giusto, che le faceva rientrare nel mondo, da
protagoniste. Perché cosa aspettavano, quei ragazzi un po' rozzi, ma
retti e gentili, se non il momento di amare una donna? La loro attesa
era lunga quanto l'adolescenza — malgrado qualche eccezione ch'era una
meravigliosa colpa — ma essi sapevano aspettare con virile pazienza: e
quando il loro momento veniva, essi erano maturi, e divenivano giovani
amanti o sposi con tutta la luminosa forza di una lunga castità,
riempita dalle fedeli amicizie coi loro compagni.
Per quelle città
dalla forma intatta e dai confini precisi con la campagna, vagavano in
gruppi, a piedi, oppure in tram: non li aspettava niente, ed essi erano
disponibili, e resi da questo puri. La naturale sensualità, che restava
miracolosamente sana malgrado la repressione, faceva sì che essi fossero
semplicemente pronti a ogni avventura, senza perdere neanche un poco
della loro rettitudine e della loro innocenza.
Anche i ladri e i
delinquenti avevano una qualità meravigliosa: non erano mai volgari.
Erano come presi da una loro ispirazione a violare le leggi, e
accettavano il loro destino di banditi, sapendo, con leggerezza o con
antico sentimento di colpa, di essere in torto contro una società di cui
essi conoscevano direttamente solo il bene, l'onestà dei padri e delle
madri: il potere, col suo male, che li avrebbe giustificati, era così
codificato e remoto che non aveva reale peso nella loro vita.
Ora che
tutto è laido e pervaso da un mostruoso senso di colpa — e i ragazzi
brutti, pallidi, nevrotici, hanno rotto l'isolamento cui li condannava
la gelosia dei padri, irrompendo stupidi, presuntuosi e ghignanti nel
mondo di cui si sono impadroniti, e costringendo gli adulti al silenzio o
all'adulazione — è nato uno scandaloso rimpianto; quello per l'Italia
fascista o distrutta dalla guerra. I delinquenti al potere — sia a Roma
che nei municipi della grande provincia campestre — non facevano parte
della vita: il passato che determinava la vita (e che non era certo il
loro idiota passato archeologico) in essi non determinava che la loro
fatale figura di criminali destinati a detenere il potere nei paesi
antichi e poveri.
Pier Paolo Pasolini, La voce di Pasolini
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