Green mind ✿


C'è un piacere nei boschi senza sentieri,
C'è un'estasi sulla spiaggia desolata,
C'è vita, laddove nessuno s'intromette,
Accanto al mar profondo, e alla musica del suo sciabordare:
Non è ch'io ami di meno l'uomo, ma la Natura di più.

George Gordon Byron




Dan Price, l’uomo che da 20 anni vive come un Hobbit


Vivere tra boschi e montagne, in una dimora fiabesca, in piena tranquillità e lontano dal frastuono cittadino. E' il sogno di molti, ma quanti riescono davvero a realizzarlo? Dan Price negli Stati Uniti è uno dei personaggi simbolo di una scelta di vita controcorrente. Ha lasciato un lavoro molto stressante e ha deciso di vivere in una casa da Hobbit.



Dan si è impegnato per costruire la propria casa, che ha chiamato Hobbit Hole, tutta da solo, ispirandosi alle storie di Tolkien. Inizialmente aveva vissuto in una tenda e in seguito in una capanna di legno. Dopo un matrimonio fallito e dopo aver abbandonato la sua carriera da fotoreporter, si è trasferito dal Kentucky all'Oregon, alla ricerca di uno stile di vita semplice e a contatto con la natura.



Mentre si trovava ancora in città, non poteva fare a meno di preoccuparsi ogni giorno per via del mutuo, delle bollette da pagare e degli impegni di lavoro incessanti. Per ritrovare la pace, ha provato a lasciarsi tutto alle spalle e ci è riuscito. Ha costruito la propria casa in una prateria, accanto ad un fiume.


Quanto costa la vita spartana di Dan? Soltanto 5000 dollari all'anno, che equivalgono a circa 3600 euro. Si guadagna da vivere facendo dei lavoretti saltuari nella località di Joseph (Oregon) dove era nato e disegnando o scrivendo per riviste dedicate alla natura. Per quanto riguarda la sua casa da Hobbit, deve pagare 100 dollari all'anno per l'occupazione del terreno, ma è riuscito a distaccarsi dalle banche e dai loro sistemi di prestito. "Perché dovremmo trascorrere la vita a pagare per una casa in cui non abbiamo mai tempo di vivere, dato che siamo sempre al lavoro?" - ecco la domanda principale che ha spinto Dan al cambiamento.

La decisione di cambiare vita è avvenuta per Dan ormai più di vent'anni fa, in un periodo di benessere economico. Ora, a causa della crisi, sempre più persone sono portate a riflettere sul proprio stile di vita o, purtroppo, si ritrovano in una condizione di povertà senza averlo scelto. L'uomo è stato definito dalla stampa statunitense come un "povero intenzionale", cioè come una persona che ha deciso di vivere con poco poiché ha compreso che l'essenza dell'esistenza non consiste nel possesso di denaro o di beni materiali, e che dietro le apparenze si nasconde un intero mondo da scoprire.

Ora che ha ritrovato il proprio equilibrio, Dan Price è deciso a vivere come un Hobbit, immerso nella natura, fino alla fine della propria esistenza. Non si tratta però di una scelta di completo isolamento dalla civiltà. Dan è infatti in contatto sia con la propria famiglia che con gli abitanti della sua città natale. La sua casa da Hobbit è una dimora scavata sottoterra, a diretto contatto con le radici degli alberi. Per riuscire a costruirla, si è informato grazie ai libri e navigando su internet. Ora l'originale abitazione è dotata anche di una sauna e di un impianto elettrico per il riscaldamento dell'acqua. L'uomo si dichiara felice di poter fare e avere a disposizione tutto ciò che desidera, senza rincorrere la ricchezza ad ogni costo e lavorando a ritmi molto più umani. La sua scelta non deve essere stata semplice, ma la qualità della sua vita è migliorata e il suo coraggio è stato ripagato.

Marta Albè 



Fonte: greenme.it




Quando l'ultima fiamma sarà spenta, l'ultimo fiume avvelenato, l'ultimo pesce catturato, allora capirete che non si può mangiare denaro.

Toro Seduto, Nativo Americano







Emma Orbach, la donna che vive in maniera quasi medievale a impatto zero

Senza luci, senza TV o radio, né acqua corrente. Sulle pendici del Mount Carningli, nella contea di Pembrokeshire, a ovest del Galles, Emma Orbach, 58 anni, laureata a Oxford e madre di tre figli, ha mandato l'orologio indietro a un'esistenza quasi medievale e da 13 anni vive come un hobbit, in una capanna di fango a 15 minuti a piedi dalla strada più vicina.


Figlia di un ricco musicista, la signora hobbit - così l'hanno ribatezzata i giornali- frequentò fin da piccola le scuole più costose e prestigiose del Paese, insieme, per fare un esempio, alle figlie dei Presidenti stranieri, per poi trasferirsi a Oxford e completare i suoi studi con una laurea in cinese.




Qui incontrò il marito Giuliano, storico dell'architettura. Per cinque anni vissero in una casetta a Bradford, ma presto si trasferirono in un casolare abbandonato vicino a Bath, dove sono nati e cresciuti i loro figli. Da lì entrarono in una comunità hippie, con altri genitori che piuttosto di fare la spesa nei supermercati lavoravano la terra.





Ma negli anni '90 arriva l'illuminazione e i due comprano 175 ettari di terreno per 150.000 sterline. “La mia vocazione era quella di immergermi totalmente nella natura e allontanarmi da tutte le interferenze moderne", racconta la donna “hobbit", che però non fu seguita da tutta la famiglia: “mio marito non è mai venuto a vivere con me e ci siamo separati. Mi sono resa conto che questa era la mia vocazione e non potevo chiedere al resto della mia famiglia di fare lo stesso. È stato normale aspettarsi che degli adolescenti non volessero vivere improvvisamente senza energia elettrica".





Perché una donna brillante e laureata arriva a scegliere una strada che può sembrare quantomeno drastica? “Da bambini, non siamo mai stati incoraggiati a concentrarci sulle cose materiali – continua Emma-. Ero solita giocare nei campi. Ho sempre amato i fiori e la natura. Io e mio fratello a volte mangiavamo i nostri pasti sugli alberi. È stato idilliaco. Ho avuto la vera libertà. Sono molto grata di non aver mai dovuto vivere la sensazione di aver fatto qualcosa solo perché tutti gli altri l'hanno fatta. Ho portato avanti questo principio. Oggi, tutto ciò che riguarda la mia vita mi rende felice. Svegliarsi in un bosco e guardare i bellissimi alberi, vedere le stelle e la luna, ho un rapporto molto stretto con il mondo naturale".


Per questo Emma ha deciso di vivere prendendo l'acqua da un ruscello, tagliando la legna, coltivando le sue verdure, curando i suoi animali (sette galline, tre capre, due cavalli e due gatti) e costruendo una capanna in stile hobbit fatta di paglia, fango e sterco di cavallo. E trascorre la propria esistenza in un luogo straordinario che lei chiama casa, dove ogni tecnologia moderna è bandita e la vita a impatto zero, con i minor danni possibili sul pianeta, è possibile.

di Roberta Ragni 


Fonte: greenme.it
 





E se il morale va giù…abbraccia un albero: la Silvoterapia


La Silvoterapia è un’antichissima arte celtica che aiuta a ritrovare l’equilibrio sfruttando l’energia positiva delle piante. Le origini di questa terapia, sono legate alle antiche pratiche e credenze che rintracciavano aspetti magici e religiosi nei luoghi boschivi, con i quali appunto si entrava in relazione. Il benessere che ne deriva era infatti ben noto ai sacerdoti celtici che appunto praticavano questa speciale arte terapeutica in grado di conferire un’immediata sensazione di sollievo.



Ma con il termine Silvoterapia, si intende anche soggiornare in luoghi boschivi così come infatti era raccomandato ai malati di tubercolosi. Negli anni trenta, questa forma terapeutica viene associata alla balneoterapia. Oggi, questa pratica viene prescritta soprattutto alle persone affette da asma bronchiale, ipertensione arteriosa e bronchite ma anche a tutti coloro che soffrono di nervosismo e insonnia. Il fondamento scientifico della Silvoterapia è fornito dal concetto degli ioni negativi, che infatti, nei luoghi ricchi di alberi sono molto presenti.



E allora perché non approfittare della bella stagione per trascorrere giornate in completo relax all’ombra di un bell’albero? Per trarne beneficio, è sufficiente entrare in empatia con un arbusto, quello che sentite giusto per voi, al vostro stato d’animo. Ma vediamo come si pratica. La tecnica è molto semplice: si appoggia la schiena al tronco, si sistema il palmo della mano destra sul plesso solare che corrisponde alla bocca dello stomaco e il dorso della sinistra a contatto con i reni. In questa posizione, si fanno respiri lenti e profondi per venti minuti circa. Se poi, la Silvoterapia viene integrata con esercizi fisici o meglio ancora lo yoga, si parla di “Silvoterapia attiva”.



Vediamo in breve i significati che i celti attribuivano ad alcuni alberi:



•Pruno selvatico: azioni forti, influenze esterne a cui è necessario obbedire.

•Sambuco: rigenerazione, vita e morte.

•Sorbo selvatico: rinascita, magia e protezione contro le negatività.

•Ontano: protezione spirituale e potere oracolare.

•Biancospino: purezza, intuizione, viaggi interiori
•Quercia: simbolo di potere, energia, sopravvivenza e passaggio tra i mondi.
•Nocciolo: meditazione, saggezza interiore, intuizione, potere di divinazione.
•Melo: scelta.
•Edera: risorse interiori e ricerca del sé.
•Betulla: simbolo di sacrificio, purificazione, rinascita, conoscenza.
•Salice: appartiene all’universo femminile e porta con sé aspetti lunari e ispirazione poetica.
•Frassino: simbolo dell'albero del mondo, della rinascita e dell'iniziazione.
•Agrifoglio: vita e protezione.

A conferma di quanto detto, pensate che al Centro Depressione Donna di Milano, si insegna alle neomamme l’abbraccio terapeutico per aiutarle a prevenire la depressione post partum.
E allora che aspettate? Abbracciate anche voi l’arbusto che più si confà alle vostre esigenze e ritrovate il vostro equilibrio interiore! Provate!

Scritto da Stefania Luccarini 

Fonte: greenme.it





Ricorda, sei tu che appartieni alla Natura, non essa a te.

Grey Owl,   Nativo Americano






Garden Therapy: il vero benessere e’ in giardino


La Garden Therapy (nota all'estero anche come Horticultural Therapy, con riferimento sia all'orto che al giardino) è una forma di terapia olistica utile a promuovere la salute ed il benessere interiore. Esistono nel mondo delle figure di terapisti esperti che possono suggerire il migliore programma di Garden Therapy, in modo tale da ristabilire equilibrio nella vita del paziente.


Già nel 1778 Benjamin Rush seppe individuare gli effetti curativi della coltivazione della terra sui pazienti affetti da disturbi mentali. Nel 1879 si ebbe il primo caso di una serra costruita negli Stati Uniti, in Pennsylvania, proprio per la cura di pazienti che si trovavano ricoverati a causa di malattie mentali. La medesima terapia venne utilizzata per donare sollievo ai reduci di guerra.

Nel corso degli anni la Garden Therapy ha guadagnato credibilità e prodotto effetti positivi su coloro che hanno deciso di avvicinarsi ad essa. La American Horticultural Therapy Association ne ha indicati i maggiori vantaggi per il benessere e la salute. La Garden Therapy e l'Ortoterapia contribuiscono a:



1) Migliorare la propria autostima.
2) Alleviare la depressione.
3) Migliorare le abilità motorie.
4) Promuovere l'interazione sociale.
5) Stimolare la capacità di risoluzione dei problemi.

Inoltre, coltivare un orto e curare il giardino garantisce di apprendere nuove tecniche che potrebbero essere utili sul piano lavorativo, in vista di una nuova occupazione, libera la mente dai pensieri negativi e ripetitivi e dalle preoccupazioni, stimola la capacità di lavorare in squadra e dona una generale sensazione di relax e di benessere.
Secondo l'associazione statunitense, per molti pazienti che si trovano in una condizione di passività a causa della malattia o dell'assunzione di medicinali, la cura dell'orto e del giardino può stimolare la loro capacità di agire di nuovo con gioia, a partire dallo sviluppo della nuova capacità di prendersi cura di una piantina in crescita. La soddisfazione di vedere sbocciare un fiore o di ammirare e gustare un frutto o un ortaggio coltivato da sé è impagabile e risolleva l'umore.
In generale, la cura dell'orto e del giardino favorisce uno stato mentale volto in positivo. Iniziare a coltivare una piantina a partire dai semi rappresenta infatti un vero e proprio atto di speranza e di impegno. Grazie alla propria dedizione, sarà possibile assistere alla trasformazione di un semplice pezzo di terra in un giardino colorato e profumato o in un orto in grado di regalare frutti succulenti.
Il piacere interiore che giunge come naturale conseguenza dell'aver raggiunto il proprio obiettivo è fonte di gioia, equilibrio e maggiore stima di sé. Al di là delle vere e proprie sedute di Garden Therapy, ognuno di noi può dare inizio alla coltivazione di un orto o di un giardino, anche in vaso e non avendo molto spazio a disposizione, oppure decidere di collocare un vasetto di erbe aromatiche in cucina o sul davanzale. E se posizionerete una piantina sulla scrivania dell'ufficio, lo stress da lavoro si ridurrà immediatamente. Visti i numerosi benefici della Garden Therapy, perché non iniziare subito?

Marta Albè

Fonte: greenme.it






 SOLARE TERMICO FAI DA TE, CON LE BOTTIGLIE DI PLASTICA. IL VIDEO

Realizzare un sistema solare termico fai da te con delle bottiglie di plastica non e’ difficile e sembra essere la giusta soluzione per riscaldare l’acqua per fare la doccia. Guarda il video


E’ possibile costruire un sistema solare termico fai da te? Si, riciclando le bottiglie di plastica e i cartoni del latte. José Alano, un meccanico brasiliano in pensione, ha costruito, grazie all’arte del riciclo, un sistema di riscaldamento solare dell’acqua semplice ed economico. Il prototipo di Josè è in funzione dal 2002 e da allora lui cerca di divulgare l’idea in Brasile, con conferenze e laboratori. Oggi più di 7.000 persone sfruttano il pannello solare fai da te, realizzato o il riciclo delle bottiglie di plastica.


Realizzare un sistema di solare termico con le bottiglie di plastica non è difficile. Basta munirsi di numerose bottiglie di plastiche, di tubi di gomma e collettori. Chi ha realizzato l’impianto, in Italia, afferma che basta posizionare tante bottiglie di plastica una sull’altra, facendo passare al loro interno un tubo di gomma in cui passa l’acqua fredda prelevata dal rubinetto. All’estremità di questo impianto di deve allacciare un collettore per termosifoni a 4 entrate (entra acqua calda), un’entrata (entra l’acqua fredda tramite tubo da giardino) e un’uscita (acqua calda da utilizzare per la doccia) e un pompa che permette all’acqua di circolare. Il meccanismo sembra difficile, ma in realtà è semplice, basta farsi aiutare da chi ha dimestichezza con i tubi. 




Chi vuole seguire, invece, il procedimento brasiliano per la costruzione di un sistema di solare con le bottiglie di plastica può affidarsi a questo video, in cui si spiega come poter dare vita al sistema: http://youtu.be/ehDgXrpRlTU

(gc)

Fonte:ecoserver.net
 





10 mangiatoie per uccelli con materiali riciclati

Mangiatoie fai-da-te per uccelli con materiali di recupero, un modo semplice per aiutare questi animali a reperire cibo.Offrire cibo e un piccolo riparo agli uccelli nel corso dell'inverno nel proprio giardino o sul terrazzo rappresenta, infatti, un gesto di rispetto e di amore nei loro confronti, che potrebbe aiutarli a superare la stagione più difficile dell'anno.



E' possibile provare a costruire con le proprie mani delle mangiatoie riciclando creativamente la spazzatura o degli oggetti inutilizzati, come piatti, tazzine, bottiglie di plastica, di vetro o, addirittura, una vecchia casetta per le bambole. Sarà interessante provare ad osservare e fotografare le specie piumate che popolano la zona in cui viviamo, in inverno.



Ecco alcune idee per realizzare la mangiatoria per uccelli più adatta allo spazio a vostra disposizione.

1) Una semplice gabbietta

Ecco una mangiatoia per uccelli molto semplice che può essere posizionata tra i rami degli alberi del proprio giardino o sul balcone, in modo che i volatili di passaggio possano reperire il cibo necessario per superare l'inverno. Si tratta di utilizzare delle semplici gabbiette metalliche all'interno delle quali posizionare semi, nocciole e arachidi. Il vostro piccolo ristornate per uccelli sarà subito pronto seguendo gli esempi presenti in questo video (http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=FL8SfX404Hg).

2) Piatti in bambu'

Per la realizzazione di una mangiatoia per uccelli in cui i semi e il becchime a loro dedicato sia facilmente raggiungibile, potreste ispirarvi a questo progetto realizzato a partire da due piatti in bambù e da collocare tra i rami di un albero. I piatti utilizzati per la realizzazione della mangiatoia sono due. Sul piatto inferiore dovrà essere collocato il cibo che vorrete offrire ai volatili, mentre il piatto superiore servirà a creare un piccolo riparo tutto per loro.


3) Casa delle bambole


La vecchia casa delle bambole dimenticata in soffitta e ormai inutilizzata può trasformarsi in una mangiatoia per uccelli da appendere ai rami di un albero o da posizionare si di un tavolino da giardino. Sui pavimenti delle piccole stanze della casetta potranno essere cosparsi il becchime e i semini adatti ai volatili. Gli amici piumati di passaggio potrebbero avere fame, ma allo stesso tempo anche sete. Ecco perché è un'ottima idea posizionare all'interno della casetta delle bambole una tazzina da tè o da caffè con dell'acqua.


4) Bottiglia di vetro


Una bottiglia di vetro di recupero può rappresentare il punto di partenza ideale per la realizzazione di una mangiatoria per uccelli fai-da-te. E' possibile utilizzare una bottiglia di vetro da riempire di becchime e da posizionare capovolta su di un piccolo contenitore grazie al quale gli uccellini potranno accedere al cibo. E' utile realizzare un supporto di legno per la bottiglia e unire ad essa dei cavi che permettano di appenderla.


5) Bottiglia di plastica


Nel caso in cui non si abbia a propria disposizione una bottiglia di vetro per la realizzazione di una mangiatoia per uccelli, è possibile ricorrere all'utilizzo di una bottiglia di plastica. Essa dovrà essere riempita di semini e di mangime adatto ad essere consumato da parte dei volatili, a cui essi potranno accedere grazie all'inserimento all'interno della bottiglia di un paio di cucchiaini di legno, sul quale si disporranno i semi, come potete osservare nell'immagine e nel video sottostante (http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=QXnfU3grFic).


6) Da un'arancia


Questa è una delle mangiatoie probabilmente più semplici e rapide da realizzare, oltre che la più naturale possibile. Per la sua realizzazione è sufficiente dividere un'arancia a metà e svuotarne una parte del contenuto, semplicemente facendo una spremuta e ponendo attenzione a non rompere la buccia. La buccia stessa diverrà il contenitore per il vostro mangime per uccelli, da riempire a piacere e da appendere al ramo di un albero con uno spago robusto.


Potete anche aggiungere un bastoncino per agevolare gli uccellini seguendo queste istruzioni.


7) Da una zucca


Ecco un'altra mangiatoia composta da materiali completamente naturali, ma che presenta una dimensione maggiore rispetto alla precedente, preparata utilizzando la buccia di un'arancia, in quanto nel presente caso è previsto l'utilizzo di una zucca, da dividere a metà e da svuotare dei semi e della polpa, fino al momento in cui ci si ritroverà con una ciotola formata dalla sua buccia da utilizzare come mangiatoia. Potrebbe essere un'idea per riciclare le decorazioni utilizzate per Halloween.




Dai contenitori in Tetra Pak per le bevande è possibile ricavare delle mangiatoie per uccelli. Dapprima è necessario cercare di aprirli dal lato inferiore e risciacquarli il più possibile. Dopo averli ben asciugati sia all'interno che all'esterno, potrete procedere col rivestirli e col dare loro la forma desiderata, ad esempio ritagliando una porticina o una finestrella all'interno delle quali posizionerete il mangime per gli uccellini. Maggiori istruzioni qui e qui.


9) Dal barattolo del caffe'


Anche con un semplice barattolo del caffè o dell'orzo solubile, un tipo di contenitore che solitamente purtroppo non può essere destinato alla raccolta differenziata, può essere realizzata una semplice mangiatoia per uccellini. Il barattolo prescelto dovrà essere appeso in maniera orizzontale e la parte superiore dovrà essere privata della metà del coperchio, in modo da poter inserire il becchime e da facilitare l'accesso ad esso.


10) Dal flacone del detersivo


Da un flacone in plastica per il detersivo è possibile ottenere una mangiatoia per uccellini da appendere in giardino. Il flacone dovrà essere risciacquato molto accuratamente prima dell'utilizzo, in modo che non rimangano tracce di alcun tipo di detergente. Attorno al tappo del flacone potrà essere avvolto un cordino da utilizzare per appendere la mangiatoia. Sul lato anteriore, in basso, dovrà essere ritagliata un apertura, in modo che sul fondo del flacone possano essere versati semini e becchime.


Marta Albè 


Fonte: greenme.it









Ogni cosa sulla terra ha uno scopo, ogni malattia un’erba con cui curarla, e ogni persona una missione. Ecco la teoria indiana dell’esistenza.

Colomna Triste, Salish, Nativo Americano 




Beet Box: strumenti musicali dagli ortaggi 


Gli ortaggi rappresentano uno degli alimenti più preziosi per la nostra alimentazione, ma i loro utilizzi possono andare oltre la preparazione di piatti prelibati e sconfinare nell'ambito dell'arte e della musica. Ecco che allora essi si trasformano in una delle materie prime per la realizzazione di insoliti strumenti musicali.



Beet Box è un progetto che prevede l'utilizzo di ortaggi, come ad esempio le rape, nella costruzione di strumenti musicali volti ad esplorare nuovi suoni e all'insegna della creatività. Si tratta di strumenti musicali realizzati a mano, che oltre alla presenza di ortaggi e dei necessari circuiti elettronici e cavi, vedono l'utilizzo di legno di recupero per la costruzione di una sorta di cassetta per gli ortaggi che in realtà non è altro che una delle parti principali degli strumenti stessi. 



Al suo interno viene collocato un amplificatore dei suoni ottenuti proprio attraverso il tocco degli ortaggi stessi. Si ottiene in questo modo uno strumento ritmico dall'effetto molto simile a quello che potrebbe essere dato da una comune batteria. La parte tecnologica dello strumento è collocata al suo interno, in modo che essa possa essere invisibile, così da conferire ad esso un'aria ancora più naturale. 



Beet Box è nato dal desiderio del suo inventore di andare oltre ai comuni progetti e alle consuete aspettative legate agli strumenti musicali, tanto da riuscire a creare uno strumento in cui tecnologia e natura potessero integrarsi perfettamente. Suonare Beet Box pare sia molto semplice. E' sufficiente toccare ritmicamente gli ortaggi, in modo da ottenere il tipo di suono desiderato. 



L'azione del tocco invia un segnale ad un dispositivo in grado di leggere i movimenti e di rimandare un suono simile a quello di una batteria. 



Marta Albè



Fonte: greenme.it



TUTTO CIÒ CHE MI SERVE SAPERE L’HO IMPARATO NELLA FORESTA


Il mio viaggio nell’ecologia iniziò nelle foreste dell’Himalaya. Mio padre era sovrintendente alle foreste e mia madre, rifugiata in seguito alla sanguinosa guerra di partizione tra India e Pakistan, era diventata una contadina. E’ nelle foreste e negli ecosistemi himalayani che ho appreso tutto ciò che so sull’ecologia. Le canzoni e le poesie che scriveva mia madre parlavano di alberi, di foreste e di civiltà indiane che vivono nelle foreste.



Il mio attivismo nel movimento ecologico cominciò con “Chipko”, una risposta non violenta alla deforestazione su larga scala che stava avvenendo nella regione Himalayana.



Negli anni ’70, alcune donne contadine della mia regione nel Garhwal Himalaya si attivarono a difesa delle foreste. Il disboscamento stava causando frane e alluvioni, scarsità di acqua, foraggio e legna. Ed erano le donne a subirne le conseguenze, poiché sta a loro procurare acqua e legna per il riscaldamento e quando queste scarseggiano il loro compito diventa ancora più gravoso, dovendo spostarsi più lontano.



Le donne sapevano che il vero valore delle foreste non risiede nel legname dei singoli alberi abbattuti, ma nei suoi corsi d’acqua, nel foraggio per il bestiame e nella legna per il fuoco. Le donne dichiararono che i tagliatori avrebbero dovuto ucciderle per abbattere gli alberi.



Una canzone popolare di quel periodo recitava:



Queste querce e rododendri stupendi

Ci danno acqua fresca

Non tagliate questi alberi
Teniamoli in vita

Nel 1973, prima di partire per il Canada per il mio Ph.D , volli far visita ai miei boschi e nuotare nel mio fiume preferito prima. Ma le foreste erano scomparse ed il fiume ridotto ad un rivolo d’acqua.

Fu allora decisi di diventare volontaria del movimento Chipko e trascorsi tutti i miei periodi di vacanza a fare “pad Yatras” (pellegrinaggi a piedi), documentando la deforestazione ed il lavoro degli attivisti e diffondendo il messaggio di Chipko.

Un episodio molto importante in cui fu coinvolto il movimento Chipko ebbe luogo nel villaggio himalaiano di Adwani, nel 1977, quando una donna del villaggio Bachni Devi si oppose al marito, il quale aveva concluso un contratto per l’abbattimento di alberi. Quando alcuni ufficiali forestali arrivarono nella foresta trovarono le donne reggevano in mano delle lanterne accese nonostante fosse pieno giorno. Una guardia forestale chiese loro una spiegazione. Le donne risposero “Siamo qui per insegnarvi la silvicultura.” La guardia replicò: ”Stolte donne, come potete voi, che impedite il taglio degli alberi, conoscere il valore della foresta? Le foreste producono profitti, resina e legno”.

E le donne risposero in coro:

Suolo, acqua e aria pura.
Il suolo, l’acqua e l’aria pura
Sostentano la terra e tutti i suoi esseri”.

Oltre le monoculture
Grazie a Chipko, ho imparato cosa sono le biodiversità e le economie basate sulla biodiversità. La tutela di entrambe è diventata la mia missione. Come ho descritto nel mio libro Monoculture della mente, il fallimento nel comprendere la biodiversità e le sue tante funzioni è alla base dell’impoverimento della natura e della cultura.

La lezione che ho imparato sulla diversità nelle foreste himalayane l’ho trasmessa nelle nostre fattorie cercando di proteggere la biodiversità. Ho iniziato conservando i semi raccolti nei campi dei contadini ed in seguito mi sono resa conto che necessitavamo di una fattoria nostra per fare dimostrazioni e pratica. Fu così che nel 1994 nacque la fattoria Navdanya nella Don Valley, situata sulla cima meno elevata della regione himalayana della provincia di Uttarakhand. Oggi conserviamo e seminiamo 630 varietà di riso, 150 varietà di grano e centinaia di altre specie. Pratichiamo e promoviamo una forma di coltivazione basata sulla biodiversità che produce quantità maggiori di cibo e nutrimento per ogni acro di terra. La conservazione della biodiversità è pertanto la risposta alla crisi di cibo e di nutrienti.

Navdanya, il movimento per la conservazione della biodiversità e per le coltivazioni organiche che è nato nel 1987, si sta diffondendo sempre più. A tutt’oggi abbiamo realizzato, con l’aiuto dei contadini, ben 100 banche di sementi sparse in tutta l’India. Abbiamo salvato più di 3000 varietà di riso. Abbiamo anche aiutato i contadini a passare da sistemi di monocolture basati sulla chimica e su combustibili fossili a sistemi ecologici biodiversi alimentati dal sole e dal suolo. La biodiversità mi ha insegnato la strada per l’abbondanza e per la libertà, per la cooperazione e per lo scambio.

I diritti della natura a livello globale
Quando la natura è maestra, noi creiamo con lei, le riconosciamo la sua azione ed i suoi diritti. A questo proposito è di particolare rilevanza che l’Ecuador abbia riconosciuto nella sua costituzione i “diritti della natura”. Nell’aprile 2011 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ispirata dalla costituzione dell’Ecuador e dalla Dichiarazione dei diritti della Madre Terra da parte della Bolivia, ha organizzato una conferenza sull’armonia con la natura come parte delle celebrazioni del giorno della Terra. Molti dibattiti erano incentrati sui metodi di trasformazione dei sistemi basati sulla dominazione dell’uomo sulla natura, degli uomini sulle donne e dei ricchi sui poveri in nuovi sistemi basati sulla collaborazione.

Il rapporto del Segretario delle Nazioni Unite, “Armonia con la natura”, pubblicato a seguito della conferenza, argomenta sull’importanza di ricongiungersi con la natura: “In definitiva, l’atteggiamento distruttivo nei confronti dell’ambiente è il risultato del fallimento nel riconoscere che gli esseri umani sono una parte inseparabile della natura; non possiamo danneggiarla senza danneggiare noi stessi”.

Il separatismo è alla radice della disarmonia con la natura e della violenza contro di essa e contro l’essere umano. Come sottolinea il famoso ambientalista sudafricano Cormac Cullinan, apartheid significa separazione. Il mondo si è unito al movimento anti-apartheid per metter fine alla violenta separazione delle persone sulla base del colore della pelle. L’apartheid in Sudafrica è ormai alle spalle. Oggi è necessario superare quell’apartheid più ampia e profonda – una eco-apartheid basata sull’illusione della separazione degli umani dalla natura nella mente e nella vita.

La visione mondiale di una Terra senza vita
La guerra contro la Terra è iniziata con questa idea di separazione. Le basi furono gettate nel momento in cui la Terra Vivente diventò materia inerte per facilitare l’avvento della rivoluzione industriale. Le monoculture sostituirono la diversità. “Materiali grezzi” e “materia morta” sostituirono la Terra vibrante. Una “Terra Nullius” (terreni vuoti, pronti per l’occupazione senza alcun riguardo per le popolazioni indigene) prese il posto della “Terra Madre”.

Questa filosofia risale a Francis Bacon, considerato il padre della scienza moderna, il quale affermò che la scienza e le invenzioni che da essa derivano “non devono essere soltanto una guida per il corso della natura; esse hanno invece il potere di conquistarla e sottometterla per scuoterla dalle sue fondamenta”.

Robert Boyle, il famoso chimico del 17° secolo e governatore della Corporazione per la Propagazione del Gospel tra gli Indiani del New England, esigeva esplicitamente che le popolazioni indigene si sbarazzassero delle loro idee sulla natura. Attaccò la loro percezione della natura come “una sorta di divinità” e sostenne che “la venerazione di cui sono imbevuti gli uomini per ciò che essi chiamano natura, ha scoraggiato ed impedito il dominio dell’uomo sulle creature inferiori a Dio” L’idea di una natura senza vita legittimizza la guerra contro la Terra. Dopo tutto, se la Terra è semplicemente materia morta, allora niente verrà ucciso.

Come ha sottolineato il filosofo e storico Carolyn Merchant , questo passaggio di prospettiva, dalla natura come madre che nutre a materia inerte, morta, manipolabile, si adattava perfettamente a quelle attività che avrebbero portato al capitalismo. Le immagini di dominazione create da Bacon e da altri esponenti della rivoluzione scientifica sostituirono quelle della terra che nutre, annullando così quella restrizione culturale sullo sfruttamento della natura. “Non si può tranquillamente uccidere una madre, sventrarla per trovare l’oro nelle sue viscere e farla a pezzi” scrisse Merchant.

Cosa ci insegna la Natura
Oggi, in un momento di innumerevoli crisi intensificate dalla globalizzazione, è necessario che ci liberiamo dal paradigma della natura come materia morta. E’ necessario che ci spostiamo verso un paradigma ecologico e per far questo la natura stessa è la migliore maestra.

Questa è la ragione per cui ho fondato l’Università della Terra.
L’università della terra insegna la Democrazia della Terra, che significa libertà per tutte le specie di evolvere nella rete della vita, nonché libertà e responsabilità degli esseri umani, in quanto membri della famiglia Terra, di riconoscere, proteggere e rispettare i diritti delle altre specie. La Democrazia della Terra è il passaggio dall’antropocentrismo all’ecocentrismo. E poiché noi tutti dipendiamo dalla Terra, la Democrazia della Terra traduce il diritto umano al cibo e all’acqua in libertà dalla fame e dalla sete.

L’Università si trova a Navdanya, una fattoria basata sulla biodiversità, dove i partecipanti imparano a lavorare con sementi vive, con un suolo vivo e con la rete della vita. I partecipanti sono contadini, bambini in età scolare e persone da tutto il mondo. Due dei nostri corsi più seguiti sono “L’Agroecologia e l’agricoltura biologica dall’A alla Zeta” e “Gandhi e la globalizzazione.”

La Poesia della foresta
L’Università della Terra è ispirata da Rabindranath Tagore, il poeta nazionale dell’India, premio Nobel. Tagore fondò un centro studi a Shantiniketan nel Bengala dell’ovest: una scuola della foresta che prendesse ispirazione dalla natura per dare inizio ad un rinascimento culturale dell’India. La scuola divenne università nel 1921, diventando così uno dei più famosi centri di studio in India.

Oggi, proprio come ai tempi di Tagore, abbiamo bisogno di rivolgerci alla natura ed alla foresta perché ci diano lezioni di libertà.

Nella “Religione della Foresta” Tagore descrisse come gli abitanti della foresta nell’antica India influenzarono la letteratura classica Indiana. Le foreste sono le matrici di sorgenti di acqua e riserva di una biodiversità che può darci una lezione di democrazia: come lasciare spazio ad altri mentre si trae sostentamento dalla rete comune di vita. Tagore considerava l’unione con la natura come il più alto grado dell’evoluzione umana.

Nel suo saggio “Tapovan” (La foresta della Purezza), Tagore scrive: “La civiltà indiana si è caratterizzata per il fatto di aver attribuito alla foresta e non alla città la sua fonte di rigenerazione, materiale e intellettuale…».

Le migliori idee dell’India sono nate laddove l’uomo era in comunione con le piante, i fiumi ed i laghi, lontano dalle folle. La pace delle foreste ha aiutato lo sviluppo intellettuale dell’uomo. La cultura scaturita dalla foresta ha alimentato la cultura della società indiana. La cultura scaturita dalla foresta è stata influenzata dai diversi processi di rinnovamento della vita, processi che sono sempre in atto nella foresta e variano da specie a specie, da stagione a stagione, per aspetto, suono e odore. Il principio unificante della vita nella diversità del pluralismo democratico è diventato quindi il principio della civiltà indiana».

E’ proprio questa unità nella diversità che è alla base sia della sostenibilità ecologica che della democrazia. Diversità senza unità è causa del conflitto. Unità senza diversità è la base per il controllo esterno. Questo è vero sia per la natura che per la cultura. La foresta costituisce una unità nella sua diversità e noi siamo uniti con la natura attraverso la relazione che abbiamo con la foresta.

Negli scritti di Tagore, la foresta non è solo fonte di conoscenza e di libertà; è anche fonte di bellezza e di gioia, di arte ed estetica, di armonia e perfezione. Simboleggia l’universo.

Nella “Religione della Foresta”, il poeta ci dice che il nostro schema mentale “guida i nostri tentativi di stabilire delle relazioni con l’universo attraverso la sua conquista o l’unione con esso, tramite l’affermazione del potere o dell’empatia.
La foresta ci insegna l’unione e la compassione.

La foresta ci insegna anche la logica della “sufficienza”: in quanto principio di equità, ci indica come gioire dei doni della natura senza sfruttamento né accumulo. Tagore riporta delle citazioni dai testi antichi scritti nella foresta: “Sappiate che tutto ciò che si muove in questo mondo in movimento è avvolto da Dio; cercate la felicità attraverso la rinuncia e non attraverso l’avidità del possesso. Nessuna specie nella foresta si appropria del territorio di un’altra specie. Ciascun essere di una specie trae il proprio sostentamento collaborando con gli altri.

La fine del consumismo e del desiderio di accumulare darà inizio alla gioia di vivere.

Il conflitto tra l’avidità e la compassione, tra la conquista e la collaborazione, tra la violenza e l’armonia, di cui scrisse Tagore, continua ancora oggi. Ed è la foresta che può indicarci la strada per superarlo.

Vandana Shiva ha scritto questo articolo per “Cosa farebbe la Natura”, pubblicazione della rivista YES! dell’Inverno 2012. Shiva è un’attivista rinomata per la biodiversità e contro la globalizzazione industriale a livello internazionale. Ha scritto anche Stolen Harvest: The Hijacking of the Global Food Supply; Earth Democracy: Justice, Sustainability, e Peace; Soil Not Oil; and Staying Alive. L’ultima parte di questo saggio è un adattamento da parte dell’autrice di “Forest and Freedom” scritto da Shiva e pubblicato nella rivista Resurgence del maggio/giugno 2011.


DI VANDANA SHIVA 

Fonte: yesmagazine.org




Metalli pesanti nell’acqua? li assorbono efficacemente le bucce di banana!


La Natura è incredibile e nasconde risorse e soluzioni dove meno te lo aspetti. Prendete la buccia della banana: apparentemente inutile, è considerata un rifiuto e viene gettata via senza troppi complimenti o tutt’al più usata per qualche gag comica. Ebbene, un team di ricercatori ha scoperto che le bucce di banana macinate sono in grado di assorbire i metalli pesanti (e spesso inquinanti) come per esempio il piombo e il rame dalle acque inquinate.



L’impatto ambientale derivato dal nostro stile di vita è sempre più grave e ci costringe a sviluppare dei metodi che riescano quantomeno a porre un freno all’inquinamento prima che la situazione diventi irreversibile. Tra gli elementi più dannosi rilasciati nell’ambiente ci sono sicuramente i metalli pesanti che, attraverso le attività umane come per esempio l’estrazione mineraria e gli scarichi industriali, finiscono nelle falde acquifere e causano un inquinamento pericoloso data la loro elevata capacità di diluirsi nell’acqua dalla quale poi vengono assorbiti dagli esseri viventi come piante e pesci o finiscono per sedimentarsi nell’ambiente.



È vero che le tecnologie per trattare le acque inquinate non mancano e tra queste la più efficace si è rivelata il gel di silice modificato con molecole organiche che è in grado di legarsi in maniera valida ai metalli; questo gel ha però almeno due grossi difetti: il processo per realizzarlo costa molto e i solventi utilizzati per ottenerlo sono di solito tossici.



Per questi motivi l’impiego di materiali di origine naturale è senz’altro auspicabile tanto più se quelli impiegati sono considerati rifiuti. Questo impiego non è una novità perché buoni risultati sono già stati ottenuti utilizzando per esempio alghe, gusci di arachidi, bucce di mela e fibra di cocco. Ma la buccia di banana ha alcuni vantaggi in più.



Questo nuovo metodo, messo a punto da un gruppo di scienziati brasiliani, utilizza le bucce di banana macinate perché sono in grado di rimuovere metalli tossici dalle acque reflue in modo rapido ed efficace.

Finanziato dal São Paulo Research Foundation il gruppo ha testato il materiale nella rimozione di rame e piombo dall’acqua misurando la sua precisione e confrontandolo con i risultati di altri materiali come il citato gel di silice modificato basati su precedenti studi da parte di gruppi diversi. I risultati hanno dimostrato che le bucce di banana sono in grado di ottenere risultati fino a 20 volte più efficaci rispetto alle altre tecniche. Non solo: le stesse bucce possono essere riutilizzate fino a 11 volte senza perdere la loro capacità di assorbimento.

Ma i vantaggi delle bucce di banana non si fermano qui perché, essendo di fatto uno scarto, risultano estremamente economiche e in più non devono essere modificate con altri procedimenti (spesso tossici) per poter funzionare. Certo, non sono forse indicate per tutti gli utilizzi visto che è stata calcolata in una tonnellata la quantità di bucce macinate necessaria per far funzionare un impianto di trattamento di grandi dimensioni ma possono comunque trovare molte applicazioni, a partire dai piccoli sistemici depurazione che spesso dispongono di scarse risorse economiche.

Maggiori informazioni su I&EC Research (in inglese)


Fonte: florablog.it





 Salsapariglia: la pianta che bonifica i siti inquinati dai metalli pesanti


Per rimuovere dai suoli contaminati i metalli pesanti, in aiuto la natura. Una pianta arbustiva, la salsapariglia (Smilax aspera L.), potrebbe avere un ruolo fondamentale per il nostro pianeta, sempre più avvelenato dall'inquinamento. Non ultimo, potrebbe contribuire a ripulire il suolo attorno all'Ilva di Taranto e nei vari SIN inquinati che stanno facendo ammalare migliaia di famiglie.



Cos'è la salsapariglia? Appartenente alla famiglia delle smilacacee, nel nostro paese è nota anche col nome comune di stracciabraghe o strazzacausi. Una pianta che cresce spontanea soprattutto nei boschi, molto diffusa nelle isole. La salsapariglia è particolarmente adattata a lunghi periodi di siccità e di calore ed è comune nella macchia mediterranea. Rampicante, dal fusto flessibile e delicato, ma ricca di spine acutissime, ha delle bacche rosse, riunite in grappoli, di cui si nutriono alcune specie di uccelli.

Ma questa pianta ha molte proprietà. A scoprirle uno studio dell'Universitat Autonoma de Barcelona pubblicato sul Journal of Geochemical Exploration, in cui i biologi hanno dimostrato che la salsapariglia è molto utile nella rimozione dei metalli da suoli contaminati.

I terreni selezionati per lo studio spagnolo appartenevano ad una ex miniera di piombo e bario chiamata "Mina Maria", che si trova nel comune di Mont-ras, nella provincia catalana di Girona. Fino a quel momento, non erano a disposizione molte informazioni sulla sua capacità di decontaminare il suolo dai metalli.

La pianta era nota soprattutto per le sue proprietà depurative, visto che dalla radice vengono estratti alcuni principi attivi utilizzati per creare infusi e decotti per curare l'influenza, il raffreddore e i reumatismi. Dalla salsapariglia, in Spagna si ricava anche una bevanda analcolica, a base di estratto di radice, zucchero, miele e acqua. Almeno fino a quando si capì l'importanza che questo arbusto poteva avere non solo in relazione alla salute umana ma anche a quella dell'ambiente.



Si cominciò allora a parlare di fitodepurazione. Nello studio vennero utilizzati tre tipi di terreno: terreno di controllo al di fuori della miniera, suolo contaminato in maniera moderata e suolo fortemente contaminato. Furono effettuate delle analisi sulla concentrazione dei metalli nei cespugli cresciuti in terreni con composizione metallica diversa, per determinare i vantaggi e gli svantaggi legati all'uso di questo rampicante nei processi di fitodepurazione. Con risultati positivi. Com'è noto, i suoli contaminati presentato elevate quantità di metalli le cui caratteristiche non sono affatto salutari per le piante, tra cui il pH, basso carico organico, scarsa disponibilità di acqua accentuata nel caso di climi mediterranei.

Ma la salsapariglia, come dimostrato, sarebbe un buon fitodepurarore grazie alla sua tolleranza ai metalli e il basso accumulo di piombo, bario, zinco e cadmio nelle sue foglie, abbassando così il rischio di trasferimento del metallo alla catena alimentare degli erbivori.

Una pianta, tra l'altro, conosciuta nel Salento. Qui i germogli più teneri sono raccolti e consumati proprio come asparagi selvatici, dopo essere stati bolliti.



Di Francesca Mancuso


Fonte: greenme.it




Noi non siamo nati soltanto dalla nostra madre, anche la terra è nostra madre, che penetra in noi ogni giorno con ogni boccone che mangiamo.

Paracelso






 Piante che curano, piante proibite


Sono venuto a conoscenza della serra di Josep Pamies a Balaguer, nella provincia di Lerida in Spagna e credo che il lavoro che sta facendo quest’uomo debba essere diffuso quanto piu è possibile.



La Dulce revolución de las plantas medicinales, è una associazione no profit, creata da Josep Pamies, che si occupa di raggruppare tutte le persone che vogliono condividere le loro esperienze derivanti dall’uso delle piante medicinali e delle terapie naturali non aggressive. La dulce revoluciò prende il nome dalla Stevia Rebaudiana, dal suo sapore dolce e dalle sue proprietà medicinali che vengono occultate dagli interessi delle multinazionali. Con la stevia è cominciata una dolce rivoluzione che permetterà contrastare gli abusi delle case farmaceutiche e recuperare, o evitare che vada perduto, il sapere popolare nell’uso delle piante medicinali e delle terapie naturali. In Europa è in vigore dal primo di maggio del 2011, una legge che proibisce la commercializzazione di piante medicinali, non registrate nell’albo europeo, anche se in uso da millenni nella medicina ayurvedica indiana, nella medicina cinese, sudamericana, africana etc. Ovviamente le spese da sostenere per poter completare la “procedura semplificata” per registare una pianta e poter dimostrare che è “innocua”, possono arrivare anche a centinaia di migliaia di euro ed è evidente che solo le grandi multinazionali possono affrontare queste spese.



Questo video che ho tradotto in Italiano, è un viaggio nella serra a Balaguer dove Josep Pamies fa da cicerone e ci mostra varie piante, illustrandone le proprietà medicinali. Un farmaco non sarà mai uguale alla pianta dalla quale viene estratto il principio attivo. Nella pianta sono presenti milioni di composti differenti che agiscono in sinergia e che vengono a mancare nel farmaco sintetizzato in laboratorio. L’uomo non è superiore alla natura, anche se è quello che vogliono farci credere…



Infatti le case farmaceutiche fanno a gara a chi brevetta per primo, questo o quell’altro principio attivo di una pianta continuando imperterriti a brevettare la vita grazie al nostro silenzio assenso. Prendiamo ad esempio il caso della stevia una pianta proveniente dal centro america con proprietà straordinarie. La stevia è un potente dolcificante naturale che a differenza dello zucchero commerciale a cui siamo abituati, regola il livello di glicemia nel sangue. Una pianta benedetta per i diabetici che usandola vedono migliorare le loro condizioni, ma maledetta per le case farmaceutiche che vedono diminuire i loro profitti.



La stevia viene usata da millenni in Sud America e in Europa fino a poco fa era consentita la vendita solo dell’edulcorante ricavato da questa pianta che guarda caso venne brevettato dalla monsanto. La stessa azienda che produceva l’aspartame che è il dolcificante cancerogeno più diffuso nel mondo, presente in moltissimi alimenti, era quella che faceva pressioni per criminalizzare l’uso della stevia. Grazie alle pressioni fatte dalla monsanto, era probito infatti venedere la pianta intera o il suo estratto integrale ma, se volevi comprare una bella pastiglia di edulcorante estratto dalla stevia e prodotto da loro non c’era nessun problema.



La dolce rivoluzione delle piante medicinali di Josep Pamies iniziò da quì.



Oggi a Balaguer, nella sua serra, oltre alla stevia Josep Pamies sta producendo moltissime altre piante, che regala alle persone afflitte da malattie gravi e nel caso di alcune piante come la marijuana che è considerata droga, Josep sta aspettando una denuncia da parte delle autorità in modo tale da poter portare il caso in tribunale.

“Non siamo noi a dover dimostrare che una pianta è benefica, piuttosto ci dimostrino loro i danni che produce, se ne producesse. Se qualcuno ancora non se ne fosse accorto, l’industria farmaceutica produce un arsenale tossico inimmaginabile, semi transgenici, insetticidi, pesticidi, funghicidi ed erbicidi che sono presenti nei nostri alimenti e ci fanno ammalare, inoltre producono medicine che non curano. Per aumentare i profitti un farmaco non deve curare ma deve rendere cronica la malattia, malattie che vengono provocate da queste stesse aziende.” Josep Pamies

Gli studi e le ricerche fatte nella serra di Josep sulle piante medicinali, usano il metodo scientifico e sono anche avallate da alcuni medici ed università. La maggior parte dei medici al giorno d’oggi pensa solo al profitto e non ha interesse a divulgare informazioni che oltre a fargli perdere i vantaggi che derivano dalla prescrizione di alcuni farmaci, potrebbero anche fargli perdere il posto. Ma sta accadendo che gli stessi medici che vengono colpiti da malattie si rivolgano a Josep come ultima spiaggia. Là dove la chemio, la radio o altri trattamenti invasivi falliscono, l’uso di alcune piante specifiche sta dando speranza a molte persone, visti gli effetti “miracolosi” riportati dai tanti testimoni sul sito della dulce rivoluciò. “Le cose stanno cambiando” dice Josep: “molte persone si rivolgono a me proprio perchè gliel’ha consigliato il medico. Anche se questi non può manifestarlo apertamente per paura di giocarsi il titolo o di perdere il posto.” L’associazione la dulce rivoluciò si sta espandendo a macchia d’olio e già sono presenti varie filiali nelle città più importanti della Spagna. Le piante trattate da Josep provengono da tutto il mondo e hanno già curato o ridotto le sofferenze provocate da malattie come il diabete, la sclerosi multipla, il cancro, il parkinson e l’alzheimer. Non stanno facendo chiacchiere, lo stanno dimostrando ogni giorno, con dati scientifici alla mano e con testimonianze reali di persone guarite. Ma Josep non solo illustra le proprietà benefiche di una pianta, studia e diffonde informazioni su come coltivarla, su come farla riprodurre e su come utilizzarla.

La situazione che si è creata è paradossale. Le forze dell’ordine non prendono iniziative per paura della risposta sociale, ma anzi, una volta hanno collaborato con Josep, portandogli piante di marijuana che erano state sequestrate… questa storia la puoi leggere quì:http://joseppamies.wordpress.com/2013/05/22/policia-y-marihuana/

Grazie alla crociata di Josep, in Spagna la Stevia adesso è reperibile anche nella sua forma naturale. Dalla stevia poi, sono passati a coltivare altre piante straordinarie, presenti da secoli nelle medicine tradizionali di altri popoli. Dall’Artemisia che ha proprietà potentissime contro la malaria, alle Kalanchoe che hanno già guarito dal cancro varie persone, che riportano la loro testimonianza non anonima sul blog di Josep Pamies: http://joseppamies.wordpress.com/acerca-de/, e molte altre ancora.

In Africa, un trattamento contro la malaria a base di Artemisinina, il principio attivo estratto dall’artemisia e brevettato dalla novartis, costa 60 euro. Praticamente non può permetterselo nessuno. Gli studi sull’artemisia di Josep hanno portato alla conclusione che assumere la pianta nella sua forma naturale è più efficace del trattamento con artemisinina nel contrastare la malaria e nel prevenirla, nonostante nella pianta la quantità di principio attivo raccomandato dalla OMS, sia inferiore. Questo avviene a causa della moltitudine di composti esistenti nella pianta, che agiscono in sinergia. Una pianta, che può essere coltivata in casa è sufficiente a soddisfare il bisogno di una famiglia ed ha un costo irrisorio di pochi centesimi.

Non si tratta di dare false speranze alla gente, si tratta di stimolare la società a fare le proprie ricerche. Investigate da soli, cercate in un motore di ricerca qualsiasi, il nome scientifico delle piante proposte da Josep Pamies e guardate voi stessi gli studi scientifici che sono stati fatti. Controllate voi stessi le proprietà straordinarie che hanno queste piante e vi accorgerete presto da che parte stanno le bugie.

“L’organizzazione mondiale della sanità, che ha la capacità di obbligare gli abitanti del pianeta a vaccinazioni di massa innecessarie, o che puo proibire i trattamenti gratuiti che la natura e le terapie naturali ci offrono, è un organismo non eletto da nessuno che è finanziato all’ 80% dalle multinazionali farmaceutiche. È dal 1995 che la OMS “raccomanda” ai governi del mondo di non diffondere la notizia che l’artemisia può essere presa nella sua forma naturale, per evitare di provocare resistenza agli antibiotici, che la mafia farmaceutica ha ordinato di produrre.” Josep Pamies

Queste informazioni in nessun caso pretendono sostituire le raccomandazioni dei professionisti della salute.


La Dulce revolución de las plantas medicinales: http://www.dolcarevolucio.cat/es/la-asociacion/objetivos

Fonte: byologik.wordpress.com




Gli avevano dato un mese. Dopo 7 anni, è vivo grazie al LIMONE. Perché ci nascondono i suoi benefici?


Tre medici e un cardiochirurgo mi avevano dato un mese di vita. Sono passati sette anni. Sono vivo grazie al LIMONE.


Ho preso per sei mesi antibiotici per curare una cistite. Mi ha curato il LIMONE.



Dopo sei mesi di una cistite devastante, dove a ogni antibiogramma risultava la morte di un batterio ma la vita di altri cinque o sei, dopo aver preso tutti gli antibiotici possibili e immaginabili, senza contare le visite specialistiche fino ad arrivare a un luminare di urologia, in preda alla più cupa disperazione e a bruciori da incubo, ho deciso di provare la “cura” di un amico dietologo, nutrizionista e gastroenterologo. Non gli credevo, ammetto. Non gli ho proprio dato credito convinta che – parliamo di quasi vent’anni fa – solo la medicina “ufficiale” avesse la risposta.

Quando poi arrivi “alla frutta”, in questo caso di nome e di fatto, ti arrendi e provi anche i rimedi…cui non credi. Tanto per non aver rimpianti.

Una spremuta di tre limoni succosi, seguiti da tre bicchieri d’acqua la sera prima di andare a dormire, con l’ordine tassativo di “tener duro” fino al mattino seguente. Convinzione, zero. Disperazione, diecimila. Immaginate la sorpresa quando, dopo solo qualche giorno, non sentivo più bruciore, il sanguinamento era scomparso, e all’ennesimo antibiogramma i valori erano perfetti?

Ma se il limone è riuscito a curare un disturbo come la cistite, forse possiede altre doti nascoste?

Comincia così, una ricerca lunga e laboriosa. Sapete che ricerche diverse hanno dimostrato che Il limone è in grado di uccidere le cellule tumorali, dimostrando un’efficacia 10.000 volte più forte della chemioterapia? Poi t’imbatti nelle dichiarazioni rilasciate a Ok Salute – di cui è garante scientifico – da Umberto Veronesi: “Una bella limonata fa da scudo contro il cancro. La ricerca ha evidenziato per questo frutto un ruolo speciale nella prevenzione, sebbene nessun alimento da solo possa essere uno scudo efficace se non è inserito in una dieta e in uno stile di vita salutare. Nei limoni ci sono molecole con notevoli proprietà antiossidanti, capaci di contrastare l’azione dei radicali liberi, che possono alterare la struttura delle membrane cellulari e del materiale genetico (DNA) e quindi aprire la strada ai processi di formazione della neoplasia. Sono i flavonoidi, presenti ad alte concentrazioni, e i limonoidi (che si ritrovano soprattutto nella buccia e che contribuiscono a fornire il tipico sapore agro). In più, hanno il potere di limitare le infiammazioni croniche, che a loro volta sono alla base, spesso, della trasformazione neoplastica dei tessuti. I limonoidi, dal canto loro, mostrano una diretta capacità di frenare alcuni tipi di cellule cancerose, come quelle del neuroblastoma: l’hanno verificato, per ora solo in provetta, i ricercatori della Texas Agriculture Experiment Station di Chillicothe (Stati Uniti). L’ideale è una spremuta di un limone il giorno. E una spruzzata di limone sull’insalata, è un gesto che bisognerebbe ricordarsi di fare più spesso”.

Ulteriori ricerche confermano che il limone è un rimedio provato contro praticamente tutti i tipi di tumore. Non solo, è uno spettro anti-microbico contro le infezioni batteriche e i funghi, funziona come antidepressivo, utile contro stress e disturbi nervosi, regolatore di pressione alta, combattente naturale di parassiti interni e vermi.


Secondo uno studio statunitense, il limonene, sostanza contenuta nel limone, pare sia impiegata con successo nella distruzione dei calcoli nella cistifellea, e nella cura di tumori a pancreas, stomaco e intestino.

Ma torniamo ai flavonoidi: uno studio pubblicato su Journal of Agricultural and Food Chemistry rivela che queste sostanze sono in grado di limitare l’azione di particolari molecole con alto potenziale cancerogeno. Un’altra ricerca, pubblicata su Current Cancer Drug Targets, afferma che i flavonoidi hanno il potere di rallentare il processo di duplicazione delle cellule tumorali.

Allora perché siamo costretti ad assumere versioni sintetiche di sostanze naturali?

Un nostro lettore scrive che il limone gli ha salvato la vita. “Tre medici, un cardiochirurgo…un mese di vita…storia lunga ma sono vivo dopo più di sette anni, non assumo più alcun farmaco”. Come, scusa? “In poche parole dopo il ricovero, dopo aver fatto tre volte l’Ecocolordoppler (metodica diagnostica non invasiva, che permette la visualizzazione ecografica dei principali vasi sanguigni e lo studio del flusso ematico al loro interno nda) tre medici diversi e un cardiochirurgo mi danno da un mese a una settimana di vita. Diagnosi: una necrosi ha compromesso già più del 25 % del cuore…Non si può più fare molto … Arrivederci e grazie! Una mia carissima zia mi consiglia “metti il Limone”. Così ho fatto, direttamente sul cuore: piano piano ho avuto miglioramenti fino alla completa guarigione”.

Il succo di limone è utile nel prevenire e curare la malattia? Pare proprio di sì. Ha un sapore abbastanza gradevole e soprattutto non produce gli effetti terribili della chemioterapia. Ma interessante è l’effetto che produce su cisti e tumori.

Inevitabile continuare a cercare, il WEB e i libri sono fonte inesauribile di bufale, certo, ma anche di notizie.

Come diceva Agatha Christie: “Una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze fanno un indizio, tre coincidenze fanno una prova”.

Una delle fonti sulle proprietà anticancerogene del limone ha dell’incredibile, perché arriva nientemeno che da uno dei più grandi produttori di droga al mondo: dal 1970, dopo più di venti test di laboratorio, si rileva che distrugge le cellule maligne in dodici tipi di cancro, incluso quello del colon, del seno, della prostata, polmone e pancreas.

Addirittura, secondo l’Istituto di Scienze della Salute di Baltimora, i composti dell’albero di limone hanno dimostrato un’efficacia 10.000 volte superiore di uno dei più usati farmaci chemioterapici. Non bastasse, pare che questo tipo di terapia a base di estratto di limone abbia la capacità di distruggere solo le cellule tumorali maligne senza influire su quelle sane.

Gli studi sul limone davvero si sprecano, così scopriamo che il limone è un valido aiuto anche per chi ha poche difese immunitarie perché può “aumentare” la produzione dei globuli bianchi. Anche per quanto riguarda il trattamento del diabete, questo frutto si è dimostrato un ottimo deterrente.

Studi scientifici in fase ancora embrionale, hanno individuato nella tangeritina, elemento presente nella buccia del limone, la possibilità di controllare i livelli di colesterolo nel sangue. Allo stesso tempo, sono all’esame i suoi effetti positivi nella cura del morbo di Parkinson.

Secondo la Reams Biological Ionization Theory, il limone sarebbe l’unico alimento anionico al mondo, caratteristica che lo renderebbe particolarmente benefico per la salute, grazie al contributo dato nell’interazione tra cationi e anioni, necessaria per la produzione di energia a livello cellulare.

Per le proprietà depurative e disintossicanti, sarebbe opportuno bere una spremuta di limone il mattino a digiuno. Tutti siamo convinti delle sue proprietà astringenti? Ebbene, bevuto il mattino, il limone aiuta a regolare l’intestino…e combatte la cellulite.

Ma l’uso del limone è davvero infinito: tarmicida naturale, è sufficiente appendere negli armadi qualche sacchetto di tela contenente scorze di limone secche per tenere alla larga le tarme.


Gli antichi Egizi ne usavano il succo per curare le dermatiti. Potremmo andare avanti all’infinito, ma se gli antichi usavano il limone come vera e propria medicina naturale in grado di curare e prevenire malattie, dov’è finita tutta questa conoscenza?

Concludiamo con una breve sintesi, una sorta di “Bignami” dei benefici effetti del limone:

Ostacola l’insorgere dell’osteoporosi

Riequilibra il Ph del corpo

Migliora la digestione

Favorisce il riposo

Previene raffreddore e influenze

Depura il fegato

Elimina gli acidi urici

Favorisce l’attività intestinale

Dissolve i calcoli biliari, renali e i depositi di calcio che si accumulano nei reni

Previene la calcolosi urinaria

Contrasta i radicali liberi

Previene l’invecchiamento cellulare dell’organismo

Abbassa il colesterolo

Favorisce la digestione

Ha proprietà antibatteriche

Elimina i parassiti intestinali

Rafforza i vasi sanguigni

Regola la pressione del sangue

Ha proprietà anticancro

Favorisce la produzione di energia

Se una mela il giorno toglie il medico di torno, cosa ci costa aumentare l’utilizzo del limone nella nostra vita quotidiana, partendo dal famoso bicchiere il mattino?

Dedicato a mio padre, che del limone non sapeva nulla…agli amici persi per la via, e a quelli che ancora stanno male…la cui vita, probabilmente, grazie al limone avrebbe potuto avere un sapore diverso.


Cristina Colombera



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Tutte le informazioni contenute in questo articolo sono state raccolte da varie fonti: libri, Internet, documenti stilati da persone che cercano ogni giorno di aiutare altre persone con rimedi naturali, confronti con medici cui ho garantito l’anonimato. Questo articolo non vuole dare una soluzione contro il cancro, ma fornire un panorama sulle alternative naturali che potrebbero aiutare, affiancare, o comunque potrebbero far sì che le persone cerchino risposte alternative, come ho fatto io. E se leggete bene, ho fatto indigestione di antibiotici prima di curare la mia cistite col limone. Il paradosso è che me l’ha consigliato un medico, della medicina ufficiale, che opera in una clinica.





Alcune delle fonti:

“The Health Benefits of Citrus Fruits – Report to Horticulture Australia, Ltd.” Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization, June 2003,

austcitrus.org.au
“An Orange a Day May Keep Some Cancers Away” Reuters Health, 12/3/03, reutershealth.com
“Health Benefits Boost Citrus Sales” NutraIngredients.com, 12/4/03, nutraingredients.com
“Flavonoid Intake and Risk of Chronic Diseases” American Journal of Clinical Nutrition, vol. 76, no. 3, September 2002, ajcn.org
“Dietary Fiber Intake and Reduced Risk of Coronary Heart Disease in US Men and Women” Archives of Internal Medicine, Vol. 163, No. 16, 9/8/03, archinte.ama-assn.org
Glinksy Vladislav and Avraham Raz. (2009). Modified citrus pectin anti-metastatic properties: one bullet, multiple targets. Carbohydrates Research. 28;344(14):1788-91
BW Guess et. al (2003). Modified citrus pectin (MCP) increases the prostate-specific antigen doubling time in men with prostate cancer: phase ll pilot study. Prostate Cancer and Prostatic Diseases. 6, 301-304
Polouse SM, Harries ED, and Patil BS. (2005) Citrus limonoids induce apoptosis in human neuroblastoma cells and have radical scavenging activity. Journal of Nutrition. 135(4): 870-7

BY CRISTINA COLOMBERA 

POSTED IN: BEN ESSERE




 L’uomo che vive senza usare soldi

In un momento di crisi, sono in molti a domandarsi come arrivare a fine del mese e altrettanti sono coloro che si lambiccano per trovare soluzioni alternative per spendere il meno possibile. Quasi nessuno, però, è mai giunto alla conclusione che si potesse vivere senza metter mano al portafogli.

Eppure è possibile. A dimostrarlo è stato Mark Boyle, un ragazzo irlandese che, dal 2008 non ha mai più sborsato un centesimo: quell'anno, infatti, ha deciso di cambiare totalmente la propria vita e dimostrare a tutti che un'esistenza senza denaro è più che accettabile, se non migliore.

Boyle vive in una roulette donatagli da un amico, su cui ha montato un pannello solare (unico suo acquisto, per 360 sterline) per poter avere energia sufficiente a vivere, e lavora come volontario in un'azienda agricola. Si ciba di prodotti coltivati solo da sè e cotti sul fuoco, come in passato e, esattamente come i nostri "avi", si lava nel fiume con sapone fatto a mano.

“I primi sei mesi sono stati i più duri” ha ammesso l'uomo, che s'è ben presto reso conto di come tutto avesse un costo, nella vita di ogni giorno. Ma poi, pian piano, ecco trovare i nuovi "escamotage", nati dall'inventiva e, soprattutto, dal baratto del terzo millennio. I siti di scambio, infatti, gli hanno permesso, in questi anni, di vivere normalmente, pur senza spendere un soldo. Ora, anche coloro che inizialmente lo prendevano per matto, lo sostengono nell'avventura e accettano i suoi consigli per vivere liberi dal consumismo e dall'economia. Quella stessa disciplina in cui, pare incredibile, Boyle s'è laureato.



Fonte: articolotre.com





IL BUON PANE CON LA PASTA MADRE


Mi piace il profumo della pasta acida, delle farine e l'alchimia che formano i vari ingredienti mescolati insieme. Anche l'attesa della fermentazione mi appassiona... una vera e propria meditazione.




Il buon pane con la pasta madre



La cucina, il buon cibo, andare al mercato, comprare gli ingredienti freschi e di stagione, il provare diverse combinazioni di sapore fra successi e fallimenti hanno sempre fatto parte della mia vita. Mi ricordo in cucina con mia nonna mentre mi dimenavo per poter impastare io la frolla per la crostata o semplicemente tagliare le verdure del contorno. Oppure quando andavamo per campi a cogliere erbe spontanee che lei sapientemente sapeva riconoscere.


Ma il pane, ahimè, già lo compravamo. Quindi non sapevo niente dell'arte della panificazione, né tantomeno del mondo della pasta madre.

Dall'incontro con Terra Nuova e con le persone che vi gravitavano intorno ho iniziato a leggere articoli e racconti di panificatori domestici. Ho conosciuto Annalisa De Luca (che poi con Terra Nuova ha scritto il libro Facciamo il pane) e partecipato nel 2006 ad uno dei suoi meravigliosi "ritiri selvatici": una tre giorni in un rifugio in montagna tra convivialità e allegria, mentre si alternavano vari laboratori di feltro, cosmesi naturale e pane con la pasta madre cotto nel forno a legna.

Beh, fu subito amore. Incantata nel guardare le sue mani che con grande maestria lavoravano l'impasto, ascoltavo con attenzione i vari passaggi che ci spiegava, dalla creazione della pasta madre fino al suo utilizzo. Fu da quell'incontro che ebbe inizio tutto...

Da allora non ho più abbandonato quest'arte antica, ma devo ammettere che prima di arrivare ad un prodotto di qualità, buono e apprezzato ho vissuto molti fallimenti: pane non lievitato tipo mattoncino di terracotta; pane crudo; pane bruciato; pane acidissimo; pane che durante la cottura si spaccava lateralmente... insomma mi sono fatta un bel percorso ricco di inciampi prima di arrivare alla meta. Per non parlare degli incidenti con la pasta madre: ammuffita; troppo acida; non fermentata; morta. Ma anche questi sono serviti, anzi, oggi mi trovo sicura nel dare consigli e suggerimenti a chi come me tanti anni fa, si avvicina adesso per la prima volta alla pasta madre.

Ma quali sono i vantaggi nutrizionali della lievitazione a pasta acida? 

E’ necessario conoscere la biochimica della fermentazione panaria: la crusca, ricca di acido fitico, ha la caratteristica di legarsi con le proteine e alcuni sali minerali (calcio, ferro, magnesio e zinco) formando “complessi” non assimilabili dall’organismo. 
Cosa significa? Significa che al pane integrale in commercio preparato con il lievito di birra (quindi con un processo fermentativo veloce che si preoccupa solo di creare volume in breve tempo senza dare possibilità ai vari componenti di unirsi, legarsi e svilupparsi insieme) è dal punto di vista del contenuto proteico e di sali minerali meno digeribile.
Perché? Perché il pane integrale viene fatto unendo alla farina raffinata, quella alla quale era stata tolta la crusca, quest’ultima che come prima detto è ricca di acido fitico, creando quindi un prodotto poco digeribile e con bassi nutrienti per l’organismo. Diversamente, un pane preparato con la pasta madre, grazie all’ambiente acido e alla fermentazione lenta e graduale, riesce a neutralizzare l’azione complessante dell’acido fitico grazie a specifici enzimi (fitasi) con il risultato di ottenere un pane più digeribile e nutriente.

In questo post scriverò la ricetta per fare un chilo di pane a lievitazione naturale nella propria casa, uno dei prossimi post lo dedicherò solo alla pasta madre, cercando di spiegare esaustivamente le varie fasi, anche se per esperienza consiglio sempre di farsene regalare un po' da chi già ce l'ha e partire da li.

Ricetta per un pane da un chilo con la pasta madre

Ingredienti:

300 g di pasta madre
600 di farina integrale o semintegrale
300 g circa di acqua
un cucchiaio di sale fino marino integrale
un cucchiaino raso di malto o miele
Come prima cosa la sera prima della panificazione si procede facendo la Biga: in una ciotola si aggiunge alla pasta madre la farina necessaria per arrivare a 300 g di peso (ovvero i 300 g di pasta madre che servono per la vostra pagnotta indicati fra gli ingredienti) e l’acqua necessaria (diciamo in proporzione circa un terzo di acqua e due di farina). Per dare dei numeri mettiamo di partire da 50 g di pasta madre, ne mancano 250 per arrivare a 300 g, quindi si aggiungono 250 g di farina e circa 100 g di acqua.

L'impasto deve essere morbido, se serve aggiungete altra acqua. Si lascia coperto e al riparo tutta la notte temperatura costante 18°-20° minimo (max 25°).

La mattina si attiva la pasta madre sciogliendola in circa 300 g di acqua e si lascia mezzora a riposo prima di aggiungere la farina e gli altri ingredienti. L’acqua e il riposo ridurranno l’incidenza degli acidi cattivi, che potrebbero donare un gusto troppo acido al vostro pane.

Passato il tempo aggiungiamo la farina prevista in ricetta mescolando con un cucchiaio di legno nella ciotola finché l’impasto non sarà maneggiabile sull’asse da lavoro. Prima di trasferirlo sull'asse si aggiunge il sale (io faccio sciogliere il sale in poca acqua calda in modo che si distribuisca meglio nell’impasto).NB: ricordatevi poco prima di mettere il sale di estrarre il pugno di pasta madre da conservare che vi servirà per la prossima panificazione. Sempre in ciotola si aggiunge anche il malto sciolto in poca acqua non necessariamente calda.

Si travasa quindi l'impasto sul ripiano e si inizia a lavorarlo lentamente per 10 minuti circa aggiungendo se necessario altra farina per aiutare questa fase. Ma poca, solo quella che serve a non far rimanere l'impasto troppo appiccicoso. NB: dovrà comunque risultare morbido e, tenuto sospeso su una mano, scivolare lentamente verso il basso.

Si copre con una coperta o con dei teli che non devono profumare di detersivo e si lascia lievitare.

La lievitazione sarà completa quando il volume dell’impasto sarà raddoppiato. Passato questo tempo la massa va rimpastata leggermente (solo rimpacchettata: si capovolge, si schiaccia e si rimboccano i lembi esterni verso il centro, prima quello dx poi sx e poi quello altro verso il fondo) con la sola farina necessaria per evitare che si attacchi alle mani, e divisa in pagnotte nel caso di più pani.

Un segnale può aiutarci per capire il momento giusto per infornare, come si vede bene dalla foto accanto, ovvero le evidenti spaccature sopra la pagnotta.

Adesso ricapitolo in breve il mio metodo di panificazione con pasta madre:

La sera prima della panificazione peso la pasta madre e faccio la biga.
La mattina sciolgo la biga con un po' di acqua, la lascio riposare 30 minuti e poi aggiungo l'acqua, la farina, il sale sciolto in mezzo bicchiere di acqua calda e il malto sciolto in un pò di acqua tiepida.
Lavoro in una ciotola l'impasto che deve essere morbido, tenuto in una mano deve non essere appiccicoso ma scivolare verso il basso.
Lo lascio riposare su un tavolo da lavoro di legno coperto bene con teli vari a raddoppiare minimo per due ore circa.
Passato questo tempo prendo l'impasto e lo lavoro brevemente, gli dono la forma che preferisco e lo pongo in una teglia rivestita con carta da forno.
Copro di nuovo l'impasto e lo lascio riposare circa un'ora e trenta minuti.
Passato questo tempo osservo la mia pagnotta, se ci sono evidenti crepe sulla superficie allora è pronta per essere infornata: nel forno domestico si mette a 200° per i primi 15 minuti e a 180° per 30 minuti circa
Lo estraggo dal forno e sento se il fondo suona a vuoto. In caso positivo allora il pane è cotto: lo capovolgo su un tagliere di legno e lo tengo al caldo avvolto in un telo pulito che non profumi di detersivo (altrimenti anche il vostro pane saprà di detersivo!).
Infine lo lascio raffreddare minimo tre ore prima di mangiarlo, anche se sarebbe meglio aspettare di più...ma che ci volete fare, è troppo buono per poter resistere!

NB: le indicazioni circa le dosi sopra riportate sono un buon punto di partenza da tenere in considerazione, ma non vanno assolutamente considerate un "testo sacro". Tutto cambia infatti da farina a farina utilizzata, soprattutto per quanto riguarda l'indicazione circa l'acqua da inserire nell'impasto perché questo valore dipende da quanta acqua assorbe la farina che userete, ogni farina si comporta infatti in maniera diversa. Diciamo che indicativamente che la proporzione è di 1 a 2, ovvero 1 di acqua per 2 di farina.

Fonte: aamterranuova.it







Che cos'è la vita? Lo sfavillare di una lucciola nella notte. Il respiro sbuffante di un bisonte nell'inverno. La breve ombra che scorre sopra l'erba e si perde dentro il sole. 

Piede di Corvo, Nativo Americano



Camminare senza scarpe salverà la nostra salute? Secondo un nuovo esercito di passeggiatori a piedi nudi, sostenuto da medici e scienziati con relativi studi, è proprio così. La scoperta è simile all’acqua calda, tanto semplice da rasentare il banale: chi non si sente bene dopo aver camminato sul bagnasciuga di una spiaggia o sull’erba fresca di rugiada? Il cosiddetto grounding, la pratica di radicamento a terra attraverso i piedi, è ben conosciuta nello yoga così come in altre discipline orientali quali il T'ai chi ch'uan e Qì Gōng. Ma recenti studi portati avanti da scienziati statunitensi come Gaetan Chevalier, James Oschman, Stephen Sinatra e Martin Zucker hanno portato questa piacevole sensazione a tutto un altro livello.

Il punto fondamentale è che lo scambio diretto tra la nostra pelle e gli elettroni che si accumulano sulla superficie terrestre serve a neutralizzare le molecole instabili nel nostro organismo, all’origine di molti danni fisici. Si tratta dei cosiddetti radicali liberi, il prodotto naturale ma tossico di alcuni processi metabolici del corpo umano. Un eccesso di queste molecole cariche positivamente è la causa di una serie di reazioni a cascata che provocano distruzione cellulare e invecchiamento. Non solo, possono indebolire il sistema immunitario e peggiorare ogni genere di infiammazione nel corpo.


Fino ad ora ci siamo difesi contro l’attacco dei radicali liberi soprattutto attraverso il cibo: mangiando verdure fresche e frutta di stagione in particolare. Ma la scienza dimostra oggi che esiste un altro sistema molto efficace e non dispendioso: basta infatti camminare per 30 minuti al giorno a piedi nudi per neutralizzare la carica positiva dei radicali liberi, tornare in sintonia con la componente energetica terrestre e in sostanza ricaricare il nostro sistema immunitario.



In alternativa ai “piedi nudi nel parco” è possibile anche dormire direttamente sul suolo, oppure connettersi a quest’ultimo attraverso materiali conduttori che si dipanano dal nostro letto fino al terreno più vicino o allo scarico a terra.



Uno studio pubblicato lo scorso febbraio 2013 dall’Università della California Irvine dimostra inoltre che praticare l’earthing, migliora la fluidità del sangue diminuendo così i rischi cardiovascolari come infarto e ictus. Anche altri effetti positivi sono stati osservati in laboratorio su persone equipaggiate di elettrodi e invitate a soggiornare o dormire su superfici di terriccio allestite appositamente. Nei soggetti in esame sono diminuiti disturbi del sonno, dolori muscolari e articolari di vario genere, artrite, diabete, asma e persino sintomi più gravi legati a insufficienza motoria e sclerosi multipla.




I benefici valgono anche per gli atleti professionisti, come assicura Jeffrey Spencer, ex olimpionico statunitense di ciclismo e attuale medico chiropratico della squadra nazionale di ciclisti d’oltreoceano che invita a tecniche di grounding quotidiano i suoi atleti, come altri clienti tra cui il team di ballo della cantante Celine Dion a Las Vegas.



È dalla seconda guerra mondiale che la gomma è comparsa sotto i nostri piedi isolandoci dalla crosta terrestre, spiegano gli autori del libro "Earthing a piedi nudi, curarsi con l’energia della terra". Prima di allora il contatto era assicurato dall’assenza di scarpe o da leggere protezioni in pellame, ancora in grado di condurre l’energia elettrica. Fino agli anni Cinquanta eravamo pertanto connessi con gli elettroni disponibili sulla superficie terrestre grazie a reazioni energetiche sotterranee e fulmini che scaricano la tensione sul suolo. Anche in età più antiche il riposo notturno era un tempo direttamente collegato al terreno: i primi letti rialzati in bronzo comparvero per la prima volta nell’Egitto dei Faraoni 3.000 anni fa, com’è riportato nel libro.


Per gli appassionati di earthing ogni strumento d’isolamento dalla crosta terrestre, e le scarpe in maniera particolare, sono una delle invenzioni più dannose dell’ultimo secolo. Insomma, forse è davvero una buona idea quella di fondare un club di passeggiatori a piedi nudi, il segreto è trovare il posto adatto in modo da evitare oggetti appuntiti, asfalto isolante, sporco eccessivo, batteri o escrementi di animali.

Camminare allena inoltre il sistema cardiocircolatorio, aiuta a perdere peso e, se portiamo l’attenzione al respiro in maniera costante, è una forma meditazione in movimento che ci permette di scaricare pensieri ed emozioni liberando la “memoria interna” del nostro cervello, proprio come quando svuotiamo il cestino del nostro computer. Aiuta a riconnetterci con la natura e rallentare il ritmo per rientrare in sintonia con quello terrestre quando ne abbiamo bisogno.

Già Ippocrate, il padre della medicina moderna vissuto 2.500 anni fa, aveva intuito i danni da disconnessione dalla natura. Diceva infatti “che nessuna malattia arriva all’improvviso, ma è sviluppata attraverso una serie di peccati quotidiani contro la natura. Quando ne accumuliamo un numero abbastanza grande la malattia appare”. Allo stesso modo, un adagio tradizionale dei nativi americana recita: “I Piedi sani possono ascoltare il vero cuore di Madre Terra”. L’obiettivo degli appassionati di earthing è riconnettere l’intera popolazione mondiale al pianeta. 

di Paola Richard 

Fonte: huffingtonpost.it






Semi di frutta e verdura liberi da copyright: la battaglia di Alice contro le multinazionali

Sul lago di Como una contadina-attivista ha dichiarato guerra a Monsanto & Co. Facendo crescere nel suo campo varietà vegetali senza brevetti proprietari. Che però, per legge, non può vendere a nessuno

Asso, antico borgo della Vallassina tra i due rami del lago di Como. Le colline scendono fra castagni e cinghiali fino al paese. Alice Pasin ha costruito la sua base sul fronte del bosco. Si è trasferita qui nel 2012. Con il compagno e i figli ha strappato i rovi e fatto spazio a un orto circondato da meli, malva e cespugli di ortiche («sono fondamentali per il terreno»). Alice vi si dedica ogni giorno con una missione politica, più che agraria: riprodurre semi di frutta e verdura liberi da copyright.

I brevetti sono diventati prassi in agricoltura. Negli uffici internazionali sono registrate proprietà per “patate mediamente dense”, broccoletti “dalle cime staccate”, cipolle che fanno piangere meno, cavolfiori “molto bianchi”. Tecnologie della vita: la multinazionale Dupont, ad esempio, ne detiene circa 400 modelli. Monsanto ha 100 esclusive solo alla voce mais. I dossier sono corposi: indicano nel dettaglio i millimetri di uno stelo, gli identikit di resa ottenuta grazie all’ibridazione, naturale o genetica, mostrano la specifica tonalità di viola oggetto d’esercizio economico su una carota. Per quanto ingegnerizzata, infatti, la natura varia. E brevettarla è un mestiere difficile, ma redditizio.

Negli Stati Uniti a partire dagli anni ’80 le aziende possono depositare brevetti commerciali sui semi, anche non Ogm. In Europa l’orientamento è diverso: per vendere una varietà è necessario registrarla, ma questo non vieta ai contadini di farne uso per migliorare la specie. Ma è una libertà a metà. L’Ufficio brevetti europeo infatti accetta dal 2013 domande su semi naturali. Contro questa direzione si è più volte espresso il Parlamento, da ultimo il 19 settembre con una mozione che ribadisce: «Le varietà vegetali e animali, i procedimenti essenzialmente biologici e i loro prodotti, non sono in alcun modo brevettabili». La corsa al controllo però continua. E fra Bruxelles e le multinazionali biotech si stendono campi dove la partita, su alcune produzioni agro-industriali, sembra già decisa.

Di fianco alle arnie, Alice Pasin ha un armadio pieno di scatole. Conservano il frutto della sua militanza agro-politica. Sono 250 varietà più o meno rare: piccoli fagioli occhiuti, scomodi da coltivare ma antichi; mini-cetriolini che si mangiano con la buccia; pomodori gialli molto amati da sua figlia; banane di montagna, cicoria di un contadino che si chiama Ecclesio. Sembra un menu elitista invece è un terreno di conflitto: gli esperti le chiamano coltivazioni orfane perché sono destinate a soccombere al mercato, quindi ad esser dimenticate per mancanza di valore commerciale. La loro cura, riproduzione e vendita, si muove su un confine informale fra il legale, il lecito, il permesso.

Le prime due varietà di grano duro coltivate in Italia, mostrano i dati del Crea (Consiglio per le ricerche in agricoltura del ministero), coprono da sole il 20 per cento della produzione totale. Si chiamano “Iride” e “Saragolla”. Sono proprietà di Syngenta, un colosso sementiero con sede in Svizzera, acquistato alla fine del 2017 da ChemChina per 43 miliardi di dollari. Si tratta della maggiore acquisizione internazionale di sempre da parte di una società cinese. ChemChina è un’azienda di Stato; l’operazione venne presentata come una manovra per garantire la sicurezza alimentare futura della classe media in Cina. Attraverso lo sviluppo e il controllo della fonte primaria: i semi.

Ancora. I primi nove tipi di mais coltivati nelle campagne italiane sono tutti figli della stessa società: marca Pioneer, ovvero Dupont/Corteva, una delle maggiori produttrici globali di semi. Sede nel Delaware, paradiso fiscale degli Stati Uniti, uffici in tutto il mondo. Sono suoi i P1758, P1921, PR31Y43, P1547, P2088, PR32B10, P1114, P1535 piantati e fatti crescere dagli agricoltori italiani. La decima tipologia è “Sy Inove”. ChemChina. Chissà se la Lega rivendicherà ancora il patriottismo della polenta, alla luce di questi dati.

Il 60 per cento delle vendite globali di semi, mostra una mappa aggiornata al 2019 da Philip Howard, università del Michigan, è controllato oggi dalle prime quattro multinazionali dell’agro-chimica: Corteva, ChemChina, Bayer e BASF. Certo mais, soia, grano e girasole sono i settori dove la privatizzazione è più stretta e feroce. In Italia il riso che viene allagato in pianura resta per esempio risultato di piccole o medie aziende. E anche fra gli ortaggi gli interessi sembrano meno chiusi.

Nonostante questo, in Europa le “grandi quattro” detengono i diritti del 72 per cento dei semi di pomodoro coltivati, del 94 per cento delle varietà di cetrioli, del 95 per cento per i tipi di carota. Lo mostra un rapporto Ocse sulla concentrazione nel mercato dei semi pubblicato l’anno scorso, segnalato dal Crea. Il dossier nasce dalla preoccupazione delle agenzie antitrust di fronte alla fusione fra Bayer e Monsanto, completata ufficialmente nel 2018 per 63 miliardi di dollari. Farmaci, diserbanti e radici marciano da allora compatti.

Coltivare semi richiede tempo. Alice Pasin raccoglie le prime due buttate di asparagi, la terza servirà alla riproduzione. Ogni primavera alterna le cipolle, per evitare incroci; aspetta due anni per i nuovi germogli. Perché fiorisca l’insalata bisogna lasciare diventi secca e flebile, uno stelo ruvido. Le zucchine arrivano quasi a esplodere. È un giardino di forme fradicie e gonfie. Sul davanzale di casa ha due bicchierini con dentro semi di pomodoro che stanno fermentando. Serve a renderli più resistenti. «La natura chiede tempo: i semi maturerebbero all’interno del frutto marcio, caduto per terra. La muffa contiene penicillina», racconta: «Per far riprodurre le piante serve cura. Ogni ortaggio o cereale, da oltre 10 mila anni, è risultato di un intervento umano. Molte piante senza questo processo sarebbero già scomparse. Vanno scelti solo i frutti più forti, sviluppati i migliori. La selezione è fondamentale».

La selezione. Per secoli i semi non sono stati una merce: i contadini dipendevano dalla loro capacità di far riprodurre le proprie piante. Compravano germogli solo raramente, scambiavano piantine nei consorzi, miglioravano i risultati adattandosi allo specifico del loro territorio. Da metà del ’900, con lo sviluppo di sementi ibride prima (il paragone classico in campo animale è il mulo) e delle modifiche genetiche ai nuclei poi, i semi sono diventati un mercato sempre più interessante sul piano commerciale. Il business supera, secondo le stime dell’Ocse, i 52 miliardi di dollari. Proteggere brevetti significa proteggere fatturato. Il primo copyright di un seme Ogm è del 1994. Era un pomodoro. Oggi gli Ogm valgono da soli più di 21 miliardi di dollari l’anno. Gli investimenti privati in ricerca e sviluppo sono aumentati così esponenzialmente, portando anche innovazioni positive. Le nuove varietà hanno rendimenti più alti, efficienza nelle risorse idriche e nell’uso del territorio. La privatizzazione però ha portato anche all’accentramento di potere nelle nostre vite: quello che mangiamo è deciso in larga parte da quattro amministratori delegati.

I monopoli, notano le voci critiche riportate nel dossier, minacciano non solo la sostenibilità della produzione (possono controllare prezzo, standard e proposte). Ma costituiscono anche uno squilibrio dei sistemi agricoli: riducono la biodiversità generale, rischiando di rendere fragili intere filiere. La paura è per l’effetto domino di fronte a un nuovo parassita. Non solo. Queste big companies forniscono ai contadini kit di crescita all-inclusive: dal seme al concime, al trattamento anti-parassiti. Sono dosi monouso, visto che le piante cresciute da semi ibridi possono figliare, sì, ma perdono subito le caratteristiche sviluppate in laboratorio.

Per restare sul mercato gli agricoltori devono rifornirsi così ogni volta alla multinazionale. In regime di dipendenza. Sollevati dalle incertezze, certo, ma anche spossessati da scelte e sapere sul loro mestiere. Fra le grandi aziende la parola chiave ora è agricoltura digitale: usare i big data per permettere coltivazioni di precisione. Monsanto ha comprato già nel 2012 “The Climate Corporation”, una startup della Silicon Valley specializzata in previsioni meteo. L’idea è sviluppare algoritmi capaci di indicare pratiche e prodotti dettagliati al singolo appezzamento, incrociando l’attività di milioni di contadini, la meteorologia e i macchinari.

In mezzo all’orto, Alice ha uno spiazzo confuso dove crescono sovrapposte una pianta peruviana, alcuni ortaggi, un albero da frutto. «Il mio compito come attivista non è solo riprodurre semi che servono alla coltivazione. Ma anche studiarli. Perché di molte varietà abbiamo perso ogni conoscenza: quando vanno raccolti i frutti, come conservarli, come cucinarli». Si chiama erosione genetica: gli standard di mercato fanno deperire dna e tradizioni di colture alternative.

Alice Pasin fa parte di “Civiltà contadina”, un’associazione per la difesa della biodiversità agricola; è dentro “Rete semi rurali”, un’organizzazione che sostiene l’arca delle varietà antiche e organizza giornate di scambio/baratto; collabora con realtà come “Zona Franca”, a Varese, dove le farine prodotte da semi liberi vengono usate per i piatti; tiene corsi per istituzioni locali e nazionali; scrive. Si ingegna, perché i semi lei non li può vendere: non sono registrati. Può riprodurli, ma non commerciarli. «Nel nostro network ci sono appassionati che hanno collezioni anche di duemila varietà di pomodori. Ma sono solo collezioni, appunto».

È un settore informale, eppure necessario. Per conservare la diversità agricola sono state costruite nel tempo gigantesche banche dei semi, come i caveaux raffreddati nel ghiaccio alle isole Svalbard, in Norvegia. Un deposito che mantiene migliaia di specie, salutato come un santuario della sopravvivenza e della sovranità alimentare dei paesi che donano le loro specie. Avrà bisogno di 850 milioni di dollari per continuare la propria missione. Le linee guida dell’Istituto nazionale di Economia agraria hanno un’altra prospettiva. Indicano la «possibilità che siano proprio gli agricoltori, nei loro campi, a svolgere questa importante funzione di conservatori della diversità». «Io non sopporto che il nostro mondo sia così di nicchia», commenta Alice risalendo verso casa: «Anche perché c’è un paradosso di fondo: il cibo biologico tanto di moda è frutto di semi non bio».

È vero. «Non c’è disponibilità di semi biologiche, se non per poche specie come l’erba medica o il trifoglio alessandrino», spiega Piergiacomo Bianchi, esperto di certificazione al Crea, dove a metà settembre ha ospitato una giornata di studi sul tema. «Oggi sul nostro database ci sono solo 934 varietà disponibili registrate», racconta Bianchi: «E 33 mila richieste di agricoltori di poter coltivare biologicamente in deroga, non essendoci alternative. Riguardano soprattutto viti, pomodoro, mais, frumento, olive, patate». Un progetto finanziato da Europa e Svizzera mira a finanziare ricerche per avere semi 100 per cento biologici entro il 2037.

Più che alla burocrazia bio e ai mancati fondi, ora Alice deve pensare però al cinghiale che minaccia il suo orto. «Dopo anni di vegetarianesimo, sono diventata amica dei cacciatori della zona. Ho speso duemila euro per mettere la recinzione ma non basta: guarda, un’altra traccia. Mi hanno mangiato tutte le patate...». La coesistenza in natura è un confine mobile.

DI Francesca Sironi, foto di Alberto Gottardo

fonte: espresso.repubblica.it





Alfio Scandurra, Di asini e di boschi. Il mio ritorno al selvatico

"Cammino sulle nuvole e non desidero niente di più": è una lettura che regala tempo da vivere con lentezza, aria fresca sul viso e profumi di terra e di alberi il libro "Di asini e di boschi", scritto da Alfio Scandurra per Ediciclo Editore nel quale l'autore descrive il suo ritorno alla dimensione selvatica e naturale grazie all'amicizia con un asino. La particolarità del racconto di Scandurra, nato a Pordenone da genitori siciliani, giardiniere specializzato nella potatura di grandi alberi in tree climbing, sta proprio nel fatto che questa esperienza è stata vissuta accanto a Fiocco, questo il nome dell'asino, con una estrema, incredibile naturalezza: l'animale è infatti divenuto per l'autore non solo un compagno di viaggio ma anche un vero e proprio 'strumento vivente' per tornare a sentirsi parte della Natura. Il libro, che raccoglie tanti trekking condotti nel territorio friulano passo dopo passo con l'asino, è una narrazione molto personale, che emoziona e trasmette verità: Scandurra mescola le esperienze vissute seguendo le orecchie di Fiocco "puntate verso l'orizzonte" e il loro lungo cammino - tra notti a guardare le stelle e giorni a vivere rispettando i ritmi naturali, nel buio più buio che c'è e con tutte le gradazioni di luce dall'alba al tramonto - a molti ricordi personali, anche della sua infanzia (bello il racconto delle estati nella campagna siciliana accanto al nonno).
In ogni capitolo non mancano mai 'gli appunti di viaggio', in cui si rivolge a Fiocco come se fosse un dono, forse uno dei più grandi ricevuti nella vita. Del resto l'asino è stato per Scandurra la possibilità concreta di cambiare radicalmente modo di vivere: per la sua esistenza un punto di non ritorno, che gli ha dato l'imput per ricominciare con un altro passo, appunto, più lento, fuori dai sentieri battuti, senza paura ma anzi con la voglia di perdersi nel mondo e dentro se stesso. Fiocco, amico silenzioso, è stato ed è da anni un compagno amorevole e fidato: con lui l'autore non sente solitudine e ritrova la semplicità e l'entusiasmo di allinearsi con l'ambiente naturale, di "perdere tempo", di compiere la propria, personalissima, "rivoluzione interiore" nella speranza di continuare a camminare con lui e ridurre sempre di più la sua "impronta sul mondo".
"Se tutto va bene, invecchieremo insieme", scrive Scandurra rivolgendosi a Fiocco in una lettera alla fine del libro, "immagino che saremo vecchietti, con il passo rallentato, complici per i tanti cammini percorsi e l'intensità dei momenti vissuti. Mi figuro noi due mentre avanziamo verso un prato non troppo lontano per sdraiarci spalla a spalla, per assaporare ancora una volta il piacere del contatto con l'erba fresca di primavera". "Ma non è giunto ancora quel momento", assicura, con la promessa all'amico animale di un nuovo, imperdibile viaggio, come "gagliardi spartani lungo i sentieri del mondo".

fonte: ansa.it






Vi è molto di folle nella vostra cosiddetta civiltà. Come pazzi, voi uomini bianchi correte dietro al denaro, finché ne avete così tanto che non potrete vivere abbastanza a lungo per spenderlo. Voi saccheggiate i boschi e la terra, sprecate i combustibili naturali, come se, dopo di voi, non venisse più alcuna generazione, che avrebbe altrettanto bisogno di tutto questo. Voi parlate sempre di un mondo migliore, mentre costruite bombe sempre più potenti, per distruggere quel mondo che avete ora.

Tatanga Mani, Nativi d'America

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